IT – “e te ne sei accorto adesso?”

Lo so, non è una preview, non è proprio una novità, se non per me, ma è una cosa che volevo condividere.

Riparlando di IT a distanza di secoli dall’ultima lettura (la prima è stata un tour de force il giorno dopo l’uscita italiana, tre giorni nei quali presi la forma della poltrona su cui mi ero spezzettato), mi sono accorto di una cosa: il romanzo parla, sì, di lotta, di crescita oltre i propri limiti, ma c’è quasi altrettanta rassegnazione. Chissà, forse sono realizzazioni che necessitano di un certo percorso, oppure semplicemente, come dicono gli americhi, “non solo la lampadina più affilata del mazzo”.

Rassegnazione, dicevo.
“IT non è solo un romanzo di paura”, lo sappiamo tutti. Per discutere di quanto sia leggibile sotto diversi piani metaforici, sono partito dall’episodio in cui una vittima di IT smette di aver paura quando ha la certezza di stare per morire. La paura è figlia del dubbio, quindi l’assoluta certezza della morte imminente tranquillizza la vittima. Lo so, è una delle scene meno plausibili e più belle del romanzo, perchè è una metafora di tante cose, che parte secondo me dalle vittime di abusi ripetuti ai soldati in trincea, a chi attraversa il deserto a piedi.
Ecco, questa è rassegnazione, lo zen del non avere alternative o scelte che rende sostenibile una situazione terribile.
Altra frase che ricordo quasi a memoria, un amore infelice: il terzo incomodo che mentalmente si rivolge a lei dicendo “prenditi lui, prenditi tutto ciò che vuoi, lascia che io continui ad amarti e forse mi basterà”. Anche questa è rassegnazione, è la presa di coscienza di come stanno le cose, sull’incapacità di chicchessia di dominare i sentimenti propri e altrui. È una cosa molto adulta da far pensare e realizzare a un ragazzino, ma tant’è, ma anche qui è una stilettata di ghiaccio al cuore. Chi di noi non c’è passato e non avrebbe voluto avere la stessa maturità nell’affrontare il dolore di non esistere davanti a un amore che avrebbe voluto per sè?
Poi beh, tutto il finale, con le memorie che svaniscono, l’inchiostro che sbiadisce, metafora anche questa di mortalità, di un sic transit gloria mundi anche per le imprese più epiche, delle nostre vicende che da ragazzini sono pietre miliari, aneddoti che siamo certi racconteremo ai nipotini, che ci riempiono d’emozione e d’orgoglio, e che invece pochi anni dopo già non ricordiamo più noi, figurarsi cosa di noi ricorderanno i nostri cari mezz’ora dopo la nostra scomparsa.
Eppure anche qui ci si rassegna, perchè le cose vanno così, sarebbe inutile ostinarsi a copiare e ricopiare diari di eventi dimenticati, come sarebbe inutile telefonare al nostro amico delle medie che non sentiamo da allora (“Cicali chi? Abbi pazienza, non mi ricordo) per rammentare qualla volta che con la BMX abbiamo saltato quel maledetto fosso senza farci male.
Inutile, rassegnamoci, sono cose minuscole, che non contano.
Siamo cose minuscole, che non contano, anche se abbiamo sconfitto un orrore cosmico.
Non solo non avremo più amici come quelli che avevamo a dodici anni, ma non saremo neppure mai altrettanto importanti.
Rassegnamoci.
E ringraziamo King per avercelo fatto capire, anche se, come nel mio caso, dopo una meditazione quasi quarantennale.


(nel caso, commentate qui: IT – “e te ne sei accorto adesso?” )

TOEI

C’è una casa cinematografica giapponese, la Toei, che come videologo ha un’onda che si infrange su uno scoglio.
Io me la ricordo dai film di kaiju che vedevo in replica da bambino, quindi quell’onda è lí da almeno cinquant’anni.
Trovo meraviglioso, nel senso più estatico del termine, che un evento, unico e irripetibile anche se simile a infiniti altri della sua specie, sia stato immortalato, reso eterno.
Quell’onda non si ripeterà mai più. Eppure, grazie a un artista che l’ha ripresa, la sua memoria torna da cinquant’anni, in innumerevoli copie.
Da cinquant’anni guardiamo un secondo di una spiaggia chissà dove dall’altra parte del mondo.
Una cosa effimera e minuscola che diviene eterna perché un artista, qualcuno che l’ha apprezzata, ce l’ha fatta conoscere.

Forse è questo il senso della vita, non solo dell’arte.

Ko-fi Shop

A me i monopoli non sono mai piaciuti, per diversi motivi.
Mentre riconosco ad Amazon l’avermi permesso di far conoscere i miei racconti più, meglio e pure più economicamente di quanto avrei potuto mai fare, l’esclusiva sull’eBook un po’ mi rodeva.
“Bla bla bla, se vuoi Unlimited devi far vendere l’ebook a noi e basta”.
Bello, eh, Unlimited, ma se qualcuno non vuole farsi l’account Amazon?
Non c’era verso.

Quindi, da oggi ho pure uno shop Ko-fi, sul quale metterò in vendita i miei eBook via via che scade l’esclusiva Amazon.
I primi clienti faranno gli affari migliori: su ko-fi posso permettermi un prezzo ultrascontato, per un numero limitato-ma-non-troppo di giorni e di copie.

Inoltre i libri restano a voi, al contrario del buon Unlimited.in

Inizio dalle mie prime raccolte, il mio esordio nell’autopubblicazione anche se non nella scrittura.

1.99 sciolte, presto 5.00 per tutte e tre, come offerta iniziale.
In ePub, come i bambini bravi.




Chi mi conosce lo sa…

…non son più carabiniere.
Okay, scherzi a parte. Chi mi conosce sa che sono un insicuro. Sindrome dell’impostore, si chiama.
Potete dirmi che sono bravo tutte le volte che vi pare, avrò problemi a crederci.
Semplicemente, non sono stato cresciuto così, ma è un discorso che ho già affrontato mille volte, nella speranza di banalizzarlo e renderlo meno vero.
Scusate.

Per due due anni, da Inaspettatamente, mi sono arrivate lodi e giudizi positivi, belle recensioni, menzioni anche di un certo livello. “Okay,” dicevo io “se mi faceva schifo non pubblicavo, può darsi che piaccia anche a qualcun altro”.
Lo vedete, l’impostore che resiste, arroccato nel suo castello, convinto di essere nel giusto?

Però ad aprile sono arrivati diversi, chiamiamoli così, cazzotti in bocca alla mia sindrome.
A fine marzo ho vinto il premio che vedete qui sotto, e questo mi ha portato qualche vendita in più, ma soprattutto delle conferme.
Lettori forti e competenti si sono accorti che esisto;
mi hanno citato e intervistato degli youtuber che stimo assai, mi hanno contattato sui social dei bravi scrittori che mi hanno voluto far leggere le loro opere, degli editor di ottimo livello che hanno commentato i miei scritti in corso di lettura o quasi.
Mi hanno paragonato a Chiang. Io non. A Chiang!

Sono conferme. Non lo realizzo appieno, ancora, ma “visto da fuori”, se succedesse a un altro, lo direi: ci sono in giro persone che mi ritengono uno scrittore valido. Persone informate, pratiche, del mestiere, non solo mia moglie e i miei migliori amici, per i quali potrebbe essere solo una questione di non offendere i miei sentimenti.

Mi sono arrivati complimenti come questo giudizio.

Vabbè, è un amico, ma facciamo a capirci:


Il buon Borgogni, mio mentore dell’Indie e dello weird, ha citato i miei idoli e mi ha paragonato al mio scrittore preferito. Non ricordo se sapesse chi fosse, ma se ha sparato alla cieca ha colpito nel segno.
Se lo sapeva, beh, non toglie niente all’enorme complimento.
A distanza di poche ore, a seguito di una bella discussione, vedo questa storia:

Ottavia ha creato una playlist su Spotify ispirata al mio Probabilmente.
Come ho detto più volte anche su queste pagine, per me l’ispirare un pensiero o un ragionamento con le mie opere, lo spingere alla riflessione o, come in questo caso, a una creazione successiva, è quanto di più simile all’immortalità che si possa ottenere.
È lo step successivo, per me. Non ero pronto ad avere chi mi apprezza, figurarsi se ero pronto ad avere una specie di fanart. Grazie, Ottavia, per avermi spiazzato, e di averlo fatto in maniera quasi chirurgica.

Scrivo, come tutti -credo- quelli che scrivono, dipingono, compongono, scolpiscono, per lasciare una parte di me dentro gli altri, per passare il seme di una sensazione o di una convinzione a chiunque abbia voglia di accoglierlo.

Ho avuto un mese e mezzo di conferme.
Chi mi ha letto e mi ha commentato ha dimostrato che non ho fatto tutto per niente.
Chi mi ha consigliato a un amico, a un conoscente, a dei lettori, mi ha dimostrato che questa cosa l’ho fatta nel migliore dei modi a me possibile, un modo che è piaciuto anche ad altri.
Chi ha scritto o creato qualcosa ispirato anche in maniera subliminale da uno dei miei racconti, fosse anche per dire “io questo spunto l’avrei utilizzato meglio”, ha preso quel seme e l’ha messo a frutto in un modo che mi rende orgoglioso, onorato e felice.

Ho conosciuto o conosciuto meglio, anche se solo virtualmente, persone interessantissime, competenti e brave, con le quali ho parlato di creatività, di scrittura, di quello che vorremmo “far passare”.
Come sempre, sono nel ruolo che adoro, quello del più cretino della stanza, quello che impara da tutti e dà troppo poco in cambio.

Però stavolta inizio a pensare di essere un idiot savant, uno che anche senza volere alla fine qualcosa di buono l’ha combinata.

Sto cominciando a crederci, ecco.

Grazie.


Appuntamenti

Sabato 18 e domenica 19 io e Lorenzo saremo qui.
Con 5 euro vedete una fiera, aggiungete 3 euro e ne vedete un’altra ancora più grossa.
Il 26 marzo, invece, a Milano ci sarò solo io, ma solo perchè si tratta di libri strani.
Amici milanesi, sapete cosa fare

Viaggio nel fantastico

Ecco a voi il mio farraginoso ma, diciamolo, divertito speech di giovedì scorso al Mercato Centrale.
Ci sono balbettii, frasi lasciate a metà, errori e non sequitur, ma meno delle volte precedenti, quindi resta una valida attestazione di “Non sapevo cosa stavo scrivendo, adesso ne ho una vaga idea”.

Buona visione!

Novità

Ecco qua le mie due ultime fatiche:
un giallo anomalo, senza sparatorie o inseguimenti, ambientato a Firenze, con protagonisti piuttosto insoliti,
e il compendio dei racconti del Ceppo, che raccoglie i quattro usciti in Inaspettatamente e Probabilmente, più un quinto che sarà incorporato in una raccolta solo tra qualche mese.
Quest’ultima pubblicazione è ovviamente pensata per chi non ha letto le mie raccolte ed è interessato solo al nostro paesino preferito… o per chi non può aspettare il terzo volume il cui titolo finirà in -ente.

Trovate tutto su Amazon o, meglio, dalle mie mani ansiose di far dediche. Sapete in quanti modi me lo potete chiedere. Il più lesto è venerdì-sabato-domenica 3-4-5 febbraio al centro commerciale “il Parco” di Calenzano, per dire.

Grazie dell’attenzione!

Ricette


Foto di redcharlie su Unsplash

Immaginate di essere un cuoco, e di volervi guadagnare non dico una stella Michelin*, ma una menzione sul Gambero Rosso.

Andate a pranzo e a cena fuori, studiate i menu degli altri, e pure quelli classici, tutti i piatti dell’Artusi, ma anche di Suor Germana e della Parodi. Tante cose le mangiate nonostante siano malcotte, la carne sia stata tagliata male, ci siano delle pretese che non si riflettono nella qualità.
Mangiate e studiate, perché si impara da tutti.

Nel frattempo fate anche degli spuntini da cuochi di strada, artisti e artigiani bravissimi, tanto più bravi di voi, magari anche conosciuti nel loro quartiere, ma che guadagnano e mettono a sedere un decimo di uno stellato.
Vi chiedete come mai il mercato e le guide non si accorgano di loro.
“Cucina di nicchia, come la mia”, vi rispondete. Non importa, li segnalate agli amici, a chi mangia da voi, ci inventate un piatto insieme, ne proponete uno da mettere nel loro menu.
Non cambia granchè.

Allora che fate? Vi leggete, tra i tanti, anche un manuale di cucina di un segnalatore della Michelin, a sua volta proprietario di ristoranti.
Ci trovate scritto che per sapere come si fa a finire sulla Michelin dovete per prima cosa mangiare nei suoi ristoranti, per sapere cosa piace alla gente. Lo fate.

Trovate che nei suoi ristoranti di pesce lavorano dei cuochi che fanno piatti di carne, ma chiamano il bollito “tonno di terra” e danno all’arrosto la forma di un’anguilla, quindi tutto okay, è come se fosse pesce. Però nella brochure del ristorante trovate che il cuoco di carne prestato al pesce è amico del padrone da tanti anni, che il segnalato è bravissimo con gli arrosticini, ma che gli è stato voluto tanto bene che PER FORZA ha dovuto inserire uno dei suoi piatti nel menu.
Okay. Il cuoco di carne è di certo più bravo di voi, e prova ne è che intanto lui lavora col segnalatore, e voi no.

Proseguite nella lettura del libro di ricette, e il medesimo segnalatore vi conferma che anche se siete bravi se non conoscete la gente giusta non andrete da nessuna parte, perché di cuochi geniali davvero che possono fare tutto da soli ce ne sono pochi, e che comunque senza una “corte”, parole sue, di conoscenze sulla guida Michelin si va da poche parti.

Voi continuate a cucinare, continuate a leggere i menu e i manuali di cucina, e trovate tra i ricettari imprescindibili citati nel manuale del segnalatore metà di quelli del segnalatore stesso.

Continuate a cucinare, ad assaggiare, a imparare.

Però con l’acidità di stomaco, e non solo per l’invidia.



*Signor Michelin, si dovrebbe capire che è una metafora per risparmiarmi una querela. Non mi quereli lei. Mi saluti anche il sig. Bibendum.

Della Pubblicazione indipendente

Ovvero: il Cicali per il sociale e l’arte.

O anche: la risposta a “Perché non pubblichi con un editore vero?”

Qualcuno dei più attenti si sarà accorto che da qualche anno collaboro con uno scrittore e sono diventato scrittore a mia volta (oddio, ci ho provato. Ci sto provando).
Questo primo scrittore, il buon Lorenzo Leoni, era ai tempi sotto contratto con un editore del quale non farò il nome.
Mi venne proposto un contratto di collaborazione a royalties come editor: ovverosia, io lavoravo con Lorenzo, e per ogni libro di Lorenzo venduto io ottenevo una percentuale. Credendo molto nelle capacità del Leoni, firmai al volo senza spulciare il prospetto delle percentuali, che comunque mi portai a casa.
Per fortuna l’editore non fece mai un lavoro decente di promozione e distribuzione, perché in fondo alla tabella, per volumi molto alti di vendita, la percentuale diventava negativa: se il libro avesse venduto mille copie avrei dovuto dare io dei soldi all’editore.
Ovviamente feci notare questa anomalia nelle prime settimane, chiedendo nient’altro che un riesame delle percentuali e, anche, proponendo una tabella con dei valori “sani”: non lo facevo solo per me, ma anche per tutti gli altri collaboratori.
L’editore fece quello che qualunque editore serio non avrebbe fatto: smise di essere reperibile; addirittura rispose a Lorenzo dicendo che se voleva continuare a lavorare con loro/lui, l’editor non avrei più potuto essere io.
“Lorenzo, fai come credi”, dissi io. “Ma quanti libri ti ha distribuito? A quanto ammontano le tue royalties, finora?”
“Otto euro”, fu la risposta.
Ricapitolando: Lorenzo aveva scritto tre libri, li aveva pubblicati con un editore che non aveva fornito neppure il servizio di editor, aveva dovuto pagare da contratto la stampa di un certo quantitativo di copie per l’autore che alla fine erano risultate il suo unico provento.
“Lorenzo, facciamo che io ti faccio un conto su Amazon e un qualsiasi altro print on demand e vediamo se ci risparmi qualcosa?”
Verificò. Subito dopo fondammo il Sodalizio Wordsmith, all’interno del cui statuto stabilimmo reciproci e onesti pagamenti.

Fatta breve: il terzo volume è uscito con il logo del Sodalizio Wordsmith; la stampa delle copie per l’autore è facoltativa, la distribuzione è mondiale, e soprattutto il costo della stampa è meno della metà di quella dell’editore “tradizionale”, che oltretutto fissava un numero di copie minimo che, beh, di minimo aveva poco.
Il libro finito costa adesso, a parità di guadagno di Lorenzo e comprese le mie royalties, tre euro in meno. Però adesso lo distribuiscono davvero.
Ovviamente non siamo tornati indietro. Non l’avremmo potuto fare nemmeno volendo: il sedicente editore ha ostracizzato Lorenzo anche per i progetti che avevano già in essere, facendogli terra bruciata intorno con gli altri autori, fosse mai che capissero che restavano ad avere a che fare con un cosiddetto “Vanity”, la figura dell’editore a proprie spese descritta da Eco già ne “Il pendolo di Foucalt”.

Io, inoltre, per aver denunciato una di queste figure su un gruppo pubblico mi sono preso delle recensioni negative gratuite e anonime ai miei libri, ma non importa, lo ribadisco:

se l’editore vi chiede dei soldi per la stampa delle copie
oppure
se vi chiede di prevendere, che so, cento copie in crowdfunding,

NON È UN EDITORE, È UNA TIPOGRAFIA!

Un editore non vi chiede soldi. L’editore magari stampa un libro in meno, ma punta su libri dei quali sa che “rientrerà”.
Vi fornirà dei servizi: copertina, impaginazione, editing, proofreading, distribuzione e non so che altro, e non ve li farà pagare.

Magari poco se è piccolo o se siete del tutto emergenti, ma un editore PAGA VOI.

All’ultima fiera siamo stati contattati dall’autore di un saggio da novecento pagine al quale l'”editore” aveva chiesto non so quanti mila euro per l’obbligo d’acquisto di un numero ridicolo di copie.
Ovviamente l’abbiamo messo in guardia, ci siamo subito e onestamente dichiarati non in grado di affrontare, come Sodalizio, la revisione di un tomo del genere, con l’avvertenza: “se vuole davvero avere il saggio sul tavolino e regalarlo agli amici, il modo più economico è la pubblicazione on demand. E poi, se qualcuno lo vedesse in vetrina Amazon, lo può comunque acquistare online”.
Abbiamo detto che abbiamo tutti i contatti necessari per revisione*, impaginazione, copertine**, ma che il Sodalizio non è un editore, di nessun tipo.
Un’altra volta ho contrattato una revisione di un romanzo già scritto dicendo “guarda, la prima lettura te la faccio gratis; se è il caso di metterci le mani te lo dico, se no è inutile che te lo faccia riscrivere da capo”. Mi pareva onesto non chiedere soldi a prescindere, ecco. Nel caso, benvenuti nel Sodalizio: ci lavoriamo solo se ci crediamo.

E qui facciamo basta con “quello che non dovete fare per non farvi infinocchiare”, passiamo a quello che potete fare per pubblicare se per un motivo o per l’altro un editore non è venuto a cercarvi per farvi pubblicare il manuale di come parlare in corsivo, le vostre barzellette di Colorado, i migliori post del vostro blog di cucina oppure per far pari col professore universitario vostro amico che ha scritto una prefazione a uno dei casi precedenti.
Non posso nemmeno dar torto a uno che punta sui soldi facili e assicurati, è solo triste che salvo rarissimi casi, in Italia si pubblichino pochissimi esordienti che non abbiano appoggi mediatici o di conoscenze. Se siete di quelli selezionati da un grande editore e mi state leggendo, non sto parlando di voi, ovviamente.

Per tutti gli altri, l’edizione in proprio ormai è assicurata dai servizi di autopubblicazione e Print On Demand, “stampa a richiesta”.
Lulu e simili il Print on Demand lo fanno da almeno vent’anni, ma tocca fare i conti e parlare del top player: Amazon KDP.

Avete un manoscritto che volete pubblicare?
Perfetto, una volta che vi sarete assicurati un servizio di editing e correzione di bozze (fondamentali: io e Lorenzo ci facciamo l’un l’altro delle critiche ferocissime su grafie, uso dei termini, sviluppo di trame e personaggi, lessico dei medesimi, plausibilità dell’ambientazione e in generale su tutta la fruibilità del contenuto)*
dovrete fornire ad Amazon un file impaginato e una copertina.
Se non avete un grafico di fiducia** Amazon stessa fornisce un tool di costruzione della copertina che fornisce dei risultati più che dignitosi. Certo, visto che la copertina è la prima cosa che un lettore vede, vale sempre un piccolo investimento.

Nota fondamentale: il paragrafo qua sopra esprime in dieci righe un lavoro pesantissimo, fatto di continue riletture e riscritture, aggiustaggi millimetrici, impietosi tagli e faticosi riempimenti, ricerca e mediazione, faticosi tentativi del grafico di far capire (a noi che del suo campo capiamo ben poco) le sue scelte (che lui ha preso forte di anni di esperienza). Vogliate bene ai grafici che vi vogliono abbastanza bene da non prendervi a pugni dopo tre mail avanti e indietro di correzioni e domande.
Vogliate bene anche al vostro editor che vi dice “Ma questo personaggio deve per forza parlare così?” solo dopo aver letto la seicentesima pagina del romanzo in cui detto personaggio compare per cinquecento.
Vogliate bene anche a voi stessi: il dirvi “MA CHE CAVOLO HO SCRITTO? ERO UBRIACO?” tre mesi dopo la stesura di un pezzo che allora avevate accolto come la vostra futura consacrazione al pantheon degli scrittori più talentuosi non è solo normale, è un passaggio costante e fondamentale.
Poi, beh, dico sempre che i libri sono come le scoregge: a noi, le nostre, non fanno poi tanto schifo.

Ma torniamo a KDP. Avete caricato il frutto delle vostre fatiche?
Decidete il prezzo e Amazon dopo qualche ora mette a disposizione il vostro libro in tutto il mondo.
Se volete delle copie per l’autore potete ordinarle al costo di stampa più, ahimè, la spedizione, ma NON SIETE OBBLIGATI: potete mettere online il vostro libro cartaceo o il vostro ebook e dimenticarvene fino al momento in cui Amazon verserà delle royalties sul vostro conto.
Cosa manca? Un vero controllo, una vera selezione, una vera promozione… tutte cose che un vanity editor non vi darebbe comunque, e che dovrete fornirvi da soli. Di contro, non ci sono altri intermediari da pagare tra la tipografia vera e propria e voi.


Non voglio affrontare il lato culturale della questione, della possibilità per chiunque di diffondere il proprio sapere (anche perché ai primi posti del MIO genere trovo sempre e solo romanzi porno), ma la sola possibilità numerica, di inventario, di leggere autori che altrimenti resterebbero ignoti è fantastica. È grazie a KDP che sono arrivato a leggere Borgogni, Broccolino, Girola e non so quanti altri autori.

Aggiungo un paio di link di gente che i meccanismi dell’autopubblicazione li spiega meglio di me perché c’è “nel mezzo” da anni.

– Libroza, in Podcast e su Youtube
– L’ottimo manuale di Alessandro Girola, a metà tra il motivazionale e il social media management. Soprattutto, sono amare risate.


Adesso che sapete quanto lavoro e quanta passione ci mette un indipendente… vogliate ancora un po’ più di bene a quei disgraziati che alle fiere (o online) espongono orgogliosi il frutto del loro lavoro:
hanno già sofferto tanto 😉








*se volete assicurarvi i nostri servizi o, meglio, entrare a far parte del Sodalizio contattateci, più siamo più ci si diverte.
** non tutti sono fortunati come noi. Abbiamo dei grafici coi contropezzi. Contatti in privato, tanto non ci guadagniamo altro che il piacere di far lavorare gente brava.

(Foto di hannah grace su Unsplash )

Mai più senza

Sapete che faccio spot solo su roba che ho comprato e della quale sono entusiasta; inoltre, se mi avete incontrato in giro nelle ultime settimane avete visto che indosso queste.
Le indosso praticamente da appena sveglio a quando vado a letto, perchè sono comodissime e non si sentono; l’archetto me le tiene ferme anche con il mio continuo leva e metti degli occhiali da lettura e, credo, anche se volessi correre.
Si accendono appena le estraggo dalla confezione e si spengono appena le ripongo. Alterno destra e sinistra per prolungare la durata della batteria dell’auricolare, anche se non sono mai riuscito a scaricarne uno prima di rimetterlo nella basetta che inizia immediatamente a ricaricarlo con tutta una serie di lucette molto rassicuranti. Una alla volta, sì, perché le uso per le chiamate e per l’ascolto degli audiolibri: un click e parte e si ferma se non posso ascoltare con attenzione. Ovviamente l’effetto stereo è migliore, ma quando serve mi piace tenere un orecchio libero.
Salendo in auto il cellulare passa all’autoradio senza che debba spegnerle, e appena sendo la riproduzione parte con click.
Costano due lire: non capisco come mai, giuro, vista la qualità e la praticità.

Spigolature

  • Io ancora non mi capacito che Sagrbi venga ancora citato come colto intellettuale, invece che come una cosa da togliere da sotto le scarpe con un bastoncino. Ha dato ogni prova dei peggiori comportamenti, eppure basta che borbotti qualcosa su Giotto e diventa un genio.
    La gente colta davvero è altra.
  • Sento in radio della ricerca e delle possibilità che Meta vanta; aggiungono poi un url con quattro slash e tre parole in inglese che non avrei fatto in tempo neppure a scrivere. Sei una big dell’informatica, cosa ti costava, che so, “progetti.meta.com” invece di “www.meta.com/advanced/projects/it/promo”?
  • Vogliamo poi dirlo, che Meta è in ritardo di quindici anni su Second Life? Prima la uccide, poi appena uno quasi la dimentica, prova a copiarla. Però stavolta servirebbe pure un visore non certo gratuito.
    Ma come l’ha uccisa? Con la semplicità: Facebook richiedeva solo di saper muovere le dita sulla tastiera per fare il login e scambiarsi meme di Hitler coi gattini; SL invece è (ancora) una chat in un open world: per accedere devi installare un “visualizzatore”, personalizzarti l’avatar, poi puoi viaggiare e costruire in questo mondo.
    Soprattutto, SL era inutile a chi voleva parlare da un podio, era una chat vera e propria. Era assi più complicata di Facebook, e allora la gente s’è spostata.
    Adesso FB, dopo aver educato la gente alla semplicità, vorrebbe riportarla a una SL più difficile e in ritardo di quindici anni.
    IMHO è un progetto fallimentare.

Due Racconti

Allora.
Che i racconti sono (per ora, giuro) l’unica cosa che mi riesce lo sapete, vero?
Ecco.

È appena uscita la nuova raccolta di racconti del progetto EUROPA NERA, curata da Michele Borgogni e da Andrea Berneschi.

Copio, aggiusto e incollo l’annuncio del buon Borgogni.

Il volume è in offerta fino ad Halloween:
https://amzn.to/3f5zgyN

Si tratta di storie ucroniche/horror/weird ambientate in un mondo dove i nazisti sono riuscito a fermare lo sbarco in Normandia grazie all’aiuto di alcune…cose. Creature antiche, forze occulte, poteri misteriosi che sono riusciti in qualche modo a scatenare contro gli alleati. La seconda guerra mondiale finisce quindi in una sorta di stallo, e si va a creare un mondo diviso in tre: il blocco comunista sovietico a est, le poche democrazie liberali rimaste a ovest, e al centro l’Europa ancora salda sotto il dominio della svastica.
Anche l’Italia si trova divisa allo stesso modo: lo sbarco in Sicilia era già cominciato e gli alleati stavano risalendo la penisola, mentre al centro Italia le forze dei partigiani avevano cominciato a liberare alcuni territori occupati, ma il regime fascista di Salò riesce a mantenere il controllo della pianura padana. Dopo i referendum del 1946 si vanno a formare quindi un Regno d’Italia saldamente alleato degli americani a sud (con la Sicilia che diventa il cinquantunesimo stato a stelle e strisce), una Repubblica Sociale a nord e alcune Repubbliche partigiane al centro, in Toscana, Liguria, Marche, Umbria, Romagna. I racconti contenuti nella raccolta vanno dalla provincia americana ai cieli dell’Ucraina, dalle foreste della Germania a uno stadio di Bologna, dall’Appennino toscano all’Unione Sovietica e via dicendo. Racconti di uomini, spesso piccoli protagonisti di storie personali in qualche modo simboliche di qualcosa di più grande. Storie drammatiche, spaventose, weird, a volte persino divertenti, perché alla fine questo non vuole certo essere un progetto didattico o politico, ma letteratura d’evasione, anche se tentiamo di metterci qualcosa in più.


Per dediche (almeno da due degli autori) sapete come fare: contattatemi. linktr.ee/ilcicali

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Dicono di noi…
Dicono di me, via.

Ma cosa cavolo ho scritto?

Aggiungo anche qua una cosa che ho scritto, esposto e discusso in più sedi.
Sono pronto alla discussione 🙂


Forse (quasi certamente, ho avvelenato la vita a tutti) sapete che a giugno sono stato ospite e relatore al Bologna Nerd Show e anche al Modena Nerd.
Cosa avevo da dire, di abbastanza nerd e abbastanza interessante? Come al solito, ho parlato dei miei problemi di nerd ultrapignolo.

L’anno scorso di questi tempi stavo prendendo le misure dell’autopubblicazione con Amazon KDP per Inaspettatamente. Una delle caselle che ti fanno scegliere è, grossomodo, “genere”.
Ho dapprima riempito senza esitare con “Fantascienza”, poi sono iniziati i dubbi: molti dei miei racconti non hanno scienza vera e propria a caratterizzarli, ma solo un elemento anomalo. Ho scritto pure del fantasy, pare.
E allora? Allora, per non raccontare bugie (oltre a quelle necessarie alla narrazione: chi racconta storie come facciamo noi del Sodalizio racconta quasi solo bugie plausibili) ho cominciato a vagare da un link all’altro alla ricerca di definizioni precise.
Non che mi cambiasse la vita; soprattutto non la cambierà a voi, che mi abbiate letto o no, sapere a quali generi appartengono, secondo autorevoli pareri di persone più famose e precise di me, Star Trek, Star Wars o Alien.
Io ero convinto fossero diversi “sapori” di fantascienza, e invece… quasi no.

Ma andiamo per ordine. Vi faccio subito un quesito, così, per stabilire un principio:

Che film è quello che segue?
C’è l’orfano che vive con lo zio a cui piove dal cielo qualcosa che gli cambierà la vita, perché è un predestinato dalla nascita. Questo qualcosa gli è stato mandato da una principessa biancovestita e dalle acconciature improbabili, prigioniera di un tiranno il cui caposgherro uccide i sottoposti con l’ausilio di arti similmagiche non appena questi lo deludono. A due passi dal biondo orfano prescelto vive quello che diverrà per lui un maestro di vita, ex cavaliere, utilizzatore della stessa forza soprannaturale del caposgherro.
Ovviamente, il ragazzino sarà uno “spontaneo” della suddetta arte, roba che il marronevestito e filosofeggiante mentore, ex-compagno del cattivo traditore degli amici e de’ compagni d’arme (tiobonino, è colpa sua e del suo tradimento se l’ordine di Cavalieri è stato annientato) si stupisce .
Mentre il biondo e la roba piovuta dal cielo mandata dalla principessa cercano il mentore, al biondo gli ammazzan lo “Ziiooooooooooh!” e la casetta sua finisce in fiamme; il mentore muore a metà del primo film, ammazzato dal caposgherro mentre il biondo e tutti l’amichetti suoi portan via la principessa infiltrandosi  nella roccaforte con un travestimento banalissimo.
Il clou delll’opera è la battagli, in cui il Biondo fa fuori in un duello aereo tra strettoie e similcanyon il caposgherro ma, colpo di scena, il nemico principale non è battuto.

Va bene, qui il plagio è piuttosto evidente (l’ha fatto un quindicenne, dopotutto), ma ci serve per far capire che tra Eragon e Guerre Stellari ep. IVla differenza non è la trama. Quindi i casi sono due: o non è la trama che definisce il genere, che fa la differenza tra Fantasy e Fantascienza oppure le due opere appertengono allo stesso genere.

La seconda che ho detto. Quasi.

Prendiamo la definizione di Fantascienza. Anzi, prendiamone tre.
“Le storie di fantascienza sono viaggi straordinari verso uno o infiniti futuri possibili”. – Isaac Asimov
“La fantascienza è una forma di narrativa fantastica che sfrutta le potenzialità creative della scienza moderna.” – David Pringle
“La fantascienza è qualsiasi cosa venga pubblicato come fantascienza.” – Norman Spinrad

Quindi, secondo Spinrad (pure non esattamente l’ultimo cretino), se pubblicano Eragon su Urania questo diventa fantascienza. Possiamo supporre che Spinrad si fosse rotto le scatole di giustificare un editore che accettava un po’ troppi generi in una collana che magari si chiamava “Hard Sci-Fi”? Possiamo. Io lo faccio; secondo me la definizione più stretta di Fantascienza è quella di Pringle: come ne L’uomo invisibile, La macchina del tempo, Matrix o Frankenstein (sì, pure, ma faremo dopo i necessari distinguo) si introducono delle tecnologie al momento della scrittura non presenti ma teoricamente possibili (un farmaco per l’invisibilità, una macchina del tempo, la Matrice, una tecnica di rianimazione dei cadaveri) e se ne narrano le conseguenze. Frankestein-romanzo è molto meno horror dei vari film, è un Romanzo Gotico (genere a sé stante) considerato uno dei capostipiti della Fantascienza, il cui protagonista non è una bestia senza cervello che uccide a casaccio come nei film, ma il rapporto tra creatore e creatura. Per brevità: il Romanzo Gotico è un genere narrativo sviluppatosi dalla seconda metà del Settecento e caratterizzato dall’unione di elementi romantici e dell’Orrore. L’Orrore può essere determinato da diversi timori dei protagonisti o del lettore: non solo quello fisico della morte o della violenza, ma anche quello più morale della perversione delle leggi naturali.
Ma torniamo a noi. “Scienza ce ne è, in Guerre Stellari”, dirà qualcuno. Sì, ma molto poca, e di solito non sono tecnologie che portano a ripercussioni morali/etiche/sociali sulla trama. Mi viene in mente solo la razza di animali enormi che sono impervi alle spade laser che, alla scoperta della loro qualità, innescano una discussione sul loro futuro. Un episodio. Uno. Ma probabilmente ce ne sono altri, diciamo che non è una linea narrativa determinante.
“Allora neppure Star Trek”, ribatterà qualcun altro. Infatti, anche qui, “quasi”, però.
A parte qualche episodio in cui viene introdotta, che so, una nuova tipologia di propulsione o di arma e ne vengono analizzati gli effetti (di solito negativi), anche Star Trek è molto poco Fantascienza. Nonostante quasi tutte le innovazioni presenti siano POSSIBILI scientificamente (compreso il viaggio più veloce della luce e escluso per ora solo il teletrasporto, maledetto Heisenberg!), pochissime di esse sono funzionali alla trama invece che all’ambientazione. E allora che genere è? I puristi direbbero Space Opera o Planetary Romance, a seconda dell’episodio e della serie: praticamente diversi sapori di Western, dove si difende un fortino, si esplora la frontiera oppure si combatte tra eserciti. Per amore di completezza, facciamo un excursus, visto che a me Star Trek piace, e tanto, e ho voluto inquadrarlo a modo.
Sia la Space Opera che il Planetary Romance presentano avventure con ambientazioni che definire esotiche è dir poco, ma mentre il planetary romance è focalizzato sul mondo alieno, ed è quindi più stanziale e incentrato anche su rapporti romantici e sentimentali, la Space Opera è “fantascienza avventurosa colorita, drammatica su larga scala, scritta con competenza e talvolta bene, di solito incentrata su un simpatico personaggio e su una trama d’azione eroica, frequentemente ambientata in un futuro relativamente lontano e nello spazio o su altri mondi, tipicamente in tono ottimista. Spesso tratta di guerra, pirateria, virtù militari e molta azione su larga scala, grandi rischi”. L”Opera” nel genere è volutamente dispregiativo, la paragona alle Soap Opera, anche se la Space Opera si sovrappone alla Fantascienza Militare, concentrandosi su battaglie spaziali su larga scala con armi avveniristiche, ma la distinzione chiave della Space Opera dalla Fantascienza Militare è che il personaggio principale in una Space Opera non fa parte del personale militare, ma civile o paramilitare. La fantascienza militare inoltre non include necessariamente un’ambientazione come lo spazio esterno o gli altri pianeti come la Space Opera. La saga della Guerra contro gli Chtorr di Gerrold, ad esempio, è tutta sulla Terra ma con personaggi che sono a diverso titolo inquadrati nell’esercito. I protagonisti di Star Trek combattono all’occorrenza ma la Federazione non è un corpo perfettamente militare.
Una cosa sola abbiamo appurato, quindi: i sottogeneri della Fantascienza (chiamiamola così, per ora, anche se è molto impreciso, vi porterò più tardi alla mia conclusione, personalissima e opinabile) si sovrappongono, si mischiano e talvolta si negano l’uno con l’altro.

“Allora”, direte voi, di nuovo, “Star Wars è Space Opera: ci sono le battaglie, ci sono gli Imperi, ci sono gli eserciti e la parte sentimentale è presente ma limitata.”
“Nì”, rispondo io, “Quasi ma non del tutto”.

Il problema è la Forza. Ci hanno provato a darle una spiegazione scientifica, ma poi l’hanno rinnegata: al momento la Forza è un espediente di trama che si comporta in tutto e per tutto come la magia… e la magia comporta l’appartenenza al Fantasy. Niente contro i poteri mentali, la telecinesi o la telepatia, dipende come li giustifichi. King, per dire uno degli intergenere letterari più famoso, giustifica sia Carrie che L’incendiaria con anomalie genetiche o fisiche, poteri latenti ma fisici e misurabili; di contro, Il giglio nerodella Bradley è un romanzo Fantasy… ma poi si scopre che le magie più grandi e potenti sono tecnologie (computer, armi biologiche) rimaste da un lontano passato. È ancora Fantasy? Sì, secondo me, perché non è solo la scienza presente o meno, ma il come viene considerata, che definisce il genere. Se non se ne conosce e non se ne cerca origine o spiegazione una tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia (come diceva Clarke), e se come tale viene trattata È magia. Un altro esempio: tutta la Torre Nera di King.
E se la magia, invece, viene trattata come una scienza? Magicians o Harry Pottersono Fantasy, c’è poco da fare. La definizione esatta di Fantasy secondo Wikipedia sarebbe “in un’opera fantascientifica gli eventi immaginari sono presentati come gli esiti possibilidi una scienza esatta o molle, mentre le situazioni del fantasy sono frutto di leggi naturali e discipline completamente fittizie; l’ibridazione fra i due generi è comunque possibile ed è classificata come science fantasy.”
Non importa che la scienza venga spiegata, di contro. Basta solo inquadrare l’innovazione come tale e plausibile: i miei racconti “Un esercito di un solo uomo” e “AI-19” introducono il viaggio nel tempo e le Intelligenze Artificiali, ma trattano delle loro applicazioni. Anche “L’orologio del nonno” spiega poco l’origine dell’anomalia, ma, beh, si capisce che non è magia, vero?

L’altro titolo che avevo citato era Alien. Basta l’astronave a farlo diventare Fantascienza? Oppure è un Horror con ambientazione fantascientifica? Proviamo a sostituire all’astronave un sotterraneo, e allo xenomorfo un cannibale: funziona lo stesso, lo spazio non è fondamentale alla trama. Quindi di fantascienza c’è solo l’ambientazione; di più, secondo alcune definizioni (ve l’ho detto, quelli che amano le etichette raramente sono d’accordo) si tratta di un Horror solo perché l’equipaggio della Nostromo è inseguito da un “mostro”. Fosse stato un criminale si sarebbe trattato di un Thriller. Ora, va da sé che secondo questa distinzione della saga di Venerdì 13 il primo è un Thriller e si parla di Horror solo quando Jason diventa non un ragazzo disturbato ma un’entità maligna; Halloween attribuisce a Myers la sua imbattibilità alla sua malattia mentale, almeno all’inizio, e quindi sempre di Thriller si parla. “Raccontami tutto” lo possiamo mettere in questo genere. Credo. Nightmare on Elm Street, almeno, chiarisce subito che Freddy Kruger è un essere soprannaturale, e quindi è Horror dal primo capitolo.

Già, l’Horror. La definizione di poco fa prosegue con “Analoga distinzione sussiste fra fantasye horror: anche la narrativa dell’orrore si basa su elementi sovrannaturali, ma li presenta necessariamente come violazioni perturbanti delle leggi di natura, laddove il fantasypresenta la magia come parte integrante di un ordine naturale distinto e separato da quello reale; anche in questo caso l’ibridazione è possibile ed è definita dark fantasy.”.
Qui la parola chiave è “perturbanti”. L’Esorcistao Final Destination presentano due “leggi di natura” (il demone sta a casa sua, il giorno della tua morte è già scritto) non scientifiche che, se violate, portano a eventi terribili e, appunto, perturbanti. Per chiarire meglio il concetto di magia perturbante, facciamo l’esempio di Wishmaster in cui un genio soddisfa i desideri di chi lo incontra… e non finisce proprio bene per nessuno.

Torniamo a quello che scrive il Cicali. L’Horror di Inaspettatamente o Probabilmente non coinvolge mostri, di sangue se ne versa poco, è più un Horror del soprannaturale… del fantastico. Non tutti i racconti sono incentrati su nuove tecnologie, pure, e quindi non sono proprio Fantascienza speculativa. Vediamo se c’è un genere comune in cui inserire, che so, L’orologio del nonno, Siamo tutti uguali e Milio.

Dice sempre Wikipedia: “Fantastico: rappresentazione di elementi e situazioni immaginarie che esulano dall’esperienza quotidiana, straordinarie, che si ritiene non si verifichino nella realtà comunemente sperimentata. Tra gli elementi che possono definire una situazione fantastica vi è l’intervento del soprannaturale o del meraviglioso (…) Nel vasto ambito del fantastico si possono raggruppare un’ampia schiera di sottogeneri differenti, tra i quali il fantasy, la fantascienza, il gotico e l’orrore.”
Tombola. Abbiamo trovato il genere in cui incasellare buona parte di tutti i racconti NON di Hard Sci-Fi e NON Fantasy.
Fantastico, quindi. C’era bisogno di tanta capillarità? Forse no, ma ditelo ad Amazon. Però abbiamo inquadrato Bookcrossing, 4 donne il 27 febbraio e Il cortile, no?

Già che siamo a dire cosa non è cosa, allarghiamo il discorso e vediamo di chiarire.
Si attribuiscono alla Fantascienza tutte le opere di Verne, anche quelle che sono basati sulla scienza dell’epoca. Ad esempio, Viaggio al centro della Terra o Dalla Terra alla Luna sono viaggi fantastici; basato su una invenzione è invece, ad esempio, Ventimila leghe sotto i mari. Lana caprina, direte voi, giustamente, ma se non si fa questa distinzione diviene Fantascienza anche il viaggio sulla Luna di Luciano di Samosata, di Cyrano oppure quello per recuperare il senno di Orlando. O il Mahābhārata, che come la storia di Urashima Taro, comporta pure un viaggio nel tempo.
E come non bastano i viaggi spaziali, non basta ambientare nel futuro: l’Apocalisse di Giovanni non è Fantascienza, per motivi molto evidenti ma la cui esposizione potrebbe urtare i più suscettibili.

Il Cyberpunk è fantascienza? Porco cane sì. Forse il più attillato dei generi alla definizione di Fantascienza: i protagonisti sono le nuove te tecnologie e le loro ripercussioni. Talvolta fanno solo da ambientazione (guardate Nathan Never, che è troppo spesso un noir o un poliziesco con le auto volanti) ma nei lavori che hanno fatto la storia sono fonte di riflessione.

Siamo qui, completiamo la carrellata tra i sottogeneri di fantastico e fantascienza tra più in voga (no, non vi parlerò delle Edisonate, che hanno il solo pregio di smentire che gli YA sono una invenzione recente) chiarendo la differenza tra Distopia e Ucronia.
Qual è la differenza tra Vangelo secondo Maria di Magdala e I giardinieri?
Nel primo un fatto (quasi)storico è accaduto diversamente nel passato –ed è ininfluente che le sue ripercussioni siano positive o negative), nel secondo succederà qualcosa che porterà a una società repressiva e violenta.
L’ucronia, una storia alternativa basata su “E se invece…?” non è un genere nuovo, già Tito Livio nell’opera Ab Urbe condita contemplava la possibilità che Alessandro Magno avesse sviluppato il regno macedone dirigendosi verso ovest anziché verso est. Al giorno d’oggi è particolarmente gettonato, di qua e di là dall’Atlantico, un diverso esito della battaglia di Gettysburg. Vorrei anche segnalarvi l’ucronia Fantasy Motherland, in cui il processo di Salem ha condotto a un’ascesa al potere da parte delle streghe. Ah, nove decimi se non di più dello steampunk sono Ucronia.
Il mio I giardinieri, Ken il guerriero, Mad Max, 1984 e Il racconto dell’ancella rappresentano una società nel presente o nell’immediato futuro oppressiva e/o violenta. Per via delle infinite sfumature di “opprimente”, questo elenco potrebbe essere lunghissimo, da Kyashan a Robocop, Hunger games

Ecco, dopo quattro cartelle di lana caprina su frasi prese da Wikipedia vorrei aprire la discussione, perché è sempre bello venire smentito a ragione: secondo voi si possono “limare” queste definizioni? Ad esempio, Blade Runner è in un genere diverso dal romanzo da cui è tratto? 1997 fuga da New York è un thriller? Ci sono film che secondo voi ho mal classificato?




…a lungo andare produce…