Indovinate chi è l’autore del commento a “25 ore” che mi limito a copiare per dargli il giusto rilievo. A lei dico solo “Grazie”.
…tutti all’inizio siamo degli estranei.
Io lo sono per te, tu lo sei per me.
Ma non per molto, nel tempo se lo si vuole si lascia un segno anche piccolo ma importante.
Lo stiamo facendo.
Tutti ne abbiamo/hanno bisogno.
Chiunque.
Chi sta male ha bisogno di ricevere e anche di dare.
Non so, già prima pensavo le cose in questo modo ma ora non posso fare a meno di vedere questa grande forza che si esprime libera solo se si è uniti, se si è insieme.
Spero che in parte sia rimasto dentro le persone con cui ho condiviso questo, anche in voi che leggete.
Sono molte le strade.
Non c’è un modo da cui si possa partire ad accorgersi degli altri, della vita, del miracolo della tua, del sentire che anche chi non c’è più vive in te, non ti lascia. Si è in due ora a vivere nello stesso corpo.
Quello che auguro a chi mi ha conosciuto o sta cominciando a farlo è che non si arrivi a tanto per scoprire quanto meravigliosi possano essere i giorni se condivisi.
Riprendendosi la propria vita per quanto sentiamo per intero, spaziamo lontano dai meccanismi feroci della frenesia che se ci pensate non può esistere se non glielo permettiamo.
Il tempo dell’amore per gli altri non è mai perduto.
Vivere ogni tanto nella “luccicanza” dentro le vene della vita, dimenticando qualsiasi rancore, rabbia, orgoglio: tutti sentimenti senza futuro… quanto grande è la forza che ti spazia dentro nell’attimo di quando insieme ci fermiamo e Guardiamo fuori con il respiro sgombro da ogni…siamo qui ora.
Nei corridoi e nelle stanze di quell’ospedale ho lasciato persone che neppure per un attimo avrebbero da pensare che quando sono con te si privano di qualcosa. Non c’è stata esitazione.
Non so se riuscite ad immaginarvi una situazione in cui tra tutti tu sei fra i pochi che torneranno a camminare e chi non può, o lo potrà fare dopo forse un anno… vive della tua gioia. Perchè? Perchè abbiamo condiviso le persone che siamo. Ti abbracciano felici per te. E ti dicono: torna presto a trovarci anche quando saremo a casa, ti aspettiamo.
Non è nella dimensione di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo. Ma lasciarsi stupire da ciò che può avvenire, accogliere aperti già tutte le sfumature che possono esserci dietro e dentro ogni volto.
Scompaiono i segni lasciati dagli interventi, scompare il lento e rauco suono della voce di chi ha tenuto la tracheo per mesi ma senti ciò esprimono.
Non esistono, mentre parli con loro, le difficoltà che hanno a muoversi, o parlare, non ci sono sedie a rotelle. Non c’è sofferenza quando ci si guarda negli occhi o ci si stringe le braccia. C’è lotta, la gioia di (con)vivere.
Chi sono io? Chi sono gli altri? Neanche la paralisi riesce a schiacciare quello che è in noi. Mentre parli ti dimentichi di te e loro dimenticano il loro corpo se tu glielo permetti. Noi non siamo ciò che l’incidente ha fatto di noi. Noi siamo. Non ci sono segreti dietro i volti che non sorreggano altro che una piccola chiave, la semplicità.
Quello che più fa male è sentirsi dire “poverina” o sentirsi addosso tutt’acquosa complicazione di uno sguardo compassionevole… questo è fermarsi, tagliarsi fuori da quanto ci possiamo dare.
Entrambi. Chi è “malato” e chi no.
Forse…un sorriso, un contatto.
Chi è sulla sedia a rotelle spesso può dare di più perchè non ha i limiti che le persone si danno di solito.
…vorrei che lo sentiate anche voi tutte le volte che entrate in un ospedale.
Gli ospedali sono luoghi molto speciali.
Quello che è successo malattia o incidente è sempre presente o addirittura evidente ma ciò che ci si dimentica è chi c’è dentro la pelle delle persone a letto.
Per la guarigione o per la serenità della persona è importante far ri-vivere quella parte che meno si vede…
Un sorriso, un contatto…
Ho ancora fisso dentro di me tutto questo e terrò vivo quanto ho ricevuto da tutti. Grazie a quelli che mi hanno permesso di entrare a passi silenziosi nella loro vita e di riuscire a dare tantissimo.
Quello che è stato è che mi è hanno dato quanto di più forte, le persone che esternamente ora hanno meno possibilità di riprendere una vita, o una vita normale.
Sono stati Giorgio e Ines, rispettivamente il marito e la figlia di Cristina, la donna che è imprigionata in un corpo che non le risponde.
Lei c’è! lo potreste sentire con i vostri occhi se ve ne date il tempo…ore che non darei mai in cambio per nessuna ragione al mondo.
Cristina c’è… colei di cui avete letto da Simone delle fotografie:
“Prenditi tutto il tempo che vuoi, noi ti rivogliamo così”.
Non ne sanno i medici di quando Cristina improvvisamente da contratta che era se sente il tocco o la voce di sua figlia Ines riesce a rilassarsi e trovare pace in un corpo che la lega. Cristina c’è.
…sono stati Giorgio e Ines a entrare, sedersi accanto ai nostri letti e a darci coraggio e amore più di tutti quanti gli altri.
Io vi chiedo di trovare la risposta da voi al… Perchè?
Vi abbraccio,
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