Eccole.

Martedì allo Warner. Ma non parlerò di Batman. No. Davvero. Solo di quanto geek sta diventando il sottoscritto, a debordare nel nerd.

Nell’atrio c’è la statua in cartone di Wall-e, che non si sa bene quando esce.

Vedo che nel cingolo destro c’è un altoparlante. Mi chiedo perchè.

Vedo una coppia di fili gialli che sbucano dall’intrico di pezzi di cartone che costiruiscono il cingolo suddetto.

“Guarda, Riccardo, non l’hanno cablato” dico quando vedo che i fili, lenti, terminano in una specie di connettore.

Vedo invece che il fondo del connettore -un tubicino di plastica nera- è affogato nella colla a caldo, non sembra nemmeno un jack femmina.

Realizzo dopo che è il tubo di un sensore a infrarossi o luminoso, e che la colla in fondo serve per tener fermo quest’ultimo. Estraggo la torcia elettrica che ho sempre nella borsageek e la punto verso il fondo del tubo. Ancora non ho fatto in tempo a pensare “fotoresistenza” che Wall-e fa un rutto meccanico “GRUUAAK!”.

Guardo il davanti del robottino. Nello chassis c’è un buco che sembra fatto apposta.

Vado dal ragazzo della biglietteria: “Posso aggiustare Wall-e?”

“Eh?”

“Si, insomma, montarlo come si deve”

“Che, non va bene?”

“No, è che gli manca di fissare un pezzo”

“Ah.” Mi guarda come se gli avessi chiesto il permesso di spogliarmi lì. “Non ce ne eravamo accorti”

“Lo so. Dai, lo sistemo”

Mi guarda ridendo mentre entro dentro lo chassis fino al gomito e faccio sporgere il tubicino dal davanti, in modo che chi passa davanti faccia ombra e al tornare della luce Wall-e chiacchieri.

Lo so, sembro scemo. Ma un lavoro ben fatto è premio a sè stesso. E a me piace aggiustare le cose.

Ci sono hobbies più pericolosi o dannosi, credo. Si, insomma, lo spero.