Category Archives: HELP!

Cose di casa

Lo sapevate che tra un qualche (un po’ troppo) tempo la Figlioluccia verrà a convivere con me? No? Sapevatelo.
Ecco. Il problema è lo spazio, per ora; non tanto per lei, quanto per l’accresciuta necessità volumetrica per vestiti, scarpe e pentolame (si, che ho il culo che alla Figlioluccia piaccia cucinare, che lo faccia bene e in gran varietà e copia).

In attesa che mi riesca progettare e costruire la cassapanca che, addossata al muro, contemporaneamente sostituirà tre sedie, costituirà dispensa e “romperà” ulteriormente la stanza, abbiamo iniziato la MISSIONE ARMADIO.
Siamo stati da IKEA, KREA (noo, non è quasi plagio, noooo!), Mobildiscount, Mondo Convenienza, qualche altro rivenditore minore, abbiamo scartato a priori Emmelunga del cavolo; abbiamo passato ore all’IKEA -per Befana. Vi rendete conto? Per Befana!!!- l’una o china sul programma di planner guardaroba, l’altro saltabeccante qua e là per il reparto a cercare, che so, com’era l’APPLAD dal vivo, o se c’era un’anta similMALM che non fosse la BIRKELAND (oddio, ormai le so a memoria).

Poi, appena optato per la terza delle combinazioni partorite dal planner 3d (e da una silente promessa a Pasusu che se alla Figlioluccia fosse andato bene l’angolare da me proposto avrei, dopo la mia dipartita, torturato personalmente per l’eternità le anime di una buona parte dei designers IKEA -che secondo me meritano un inferno a parte, tutto in melammina, truciolare e colori fluo, ma è un altro discorso-), tornando da LIDL, siam passati davanti al Mobilmarket.
“Che si fa, si passa anche lì?”
“Giusto per completezza”
Diciamo che per entrare abbiamo dovuto girare attorno all’armadio dei nostri sogni che ingombrava l’ingresso.
Scontato del 45%, in massello.
Indebitatici nel giro di mezz’ora, grazie alla simpatia e disponibilità dei commessi e del responsabile (e non è poco. Giuro, non è poco) per i prossimi sei mesi, la missione è diventata DISPENSA COI CASSETTI. Stavolta IKEA davvero.

Ci siamo andati di domenica, che a noi piace soffrire. Abbiamo dribblato le famiglie allo stato brado e ci siam fatti fare la lista dei necessari pezzi in tempo quasi zero, visto che sapevamo cosa ci serviva.
Dopo la caccia al tesoro nello scaffale 13, e relativo appunto dei pezzi mancanti, c’è stata la placida attesa al deposito, con tanto di maltrattamento e abbattimento quasi definitivo dei sedili della Multipla della figlioluccia, il dribbling di un insistentissimo accattone (“Ma non ce li hai i soldi?” “No, non ho spiccioli, e anche se li avessi col cazzo che li do a te”) e il trasporto in autostrada con me seduto dietro la Figlioluccia che si chiedeva se la odiavo.
No, non la odiavo e non la odio.
Però adesso penso a quando venerdì dovrò portare, secondo la lista materiali, cinquantasette kg di legname in pacchi da due metri e cinquanta, fino su in casa, segare lo zoccolo a misura, comprarne un altro, farlo segare -stavolta bene- dal mi’babbo, e farmi aiutare a montare la dispensa cercando di non far notare che manca il frontale di un cassetto -“arriva tra dieci giorni”-, e non è che la odio. Diciamo che la prossima volta piuttosto le pentole gliele faccio mettere nel letto al posto mio, e io dormo in cucina, sul tappetino dell’acquaio.

Il mattino ha l’oro in bocca reprise.

Stamani monto al lavoro alle 7.30.

Non sarebbe strano che io sembri uscito da una betoniera nel quale mi avessero fatto compagnia (oddio, spero che ho azzeccato il congiuntivo) due palle da bowling e sterco fresco di brontosauro, se ieri non fossi andato a letto qualcosa tipo alle diciotto.

No, che uno -uno a casa- va a ninna per il pomeriggio, colla sveglia puntata alle 21, col programma di cenare e cominciare a tradurre Middleman (scritto, Lu?), e si sveglia alle 22 dopo aver spento due cellulari e un palmare, solo perchè lo chiama Rick, colla semplice domanda “Ma non dovevi essere al Joyce?”.

S’era fissato da due settimane. Due. Settimane.

Non ne esco vivo, io, da questo periodo. Già che avevo incontrato un’amica, nel pomeriggio, per caso, e m’aveva chiesto “Ma te che fine hai fatto?”. Ho avuto seri problemi a trovare una spiegazione.

“Vo a casa e dormo, vo a casa e ripulisco, vo a casa e smazzetto uno dei mille libri che m’aspettano, vo a casa a tradurre, vo a casa e fisso il soffitto apatico”.

Tra l’altro.

Che “l’altro”, il lato attivo e positivo delle mie assenze, è purtroppo sproporzionatamente ridotto rispetto a quello del “Chi sono?, dove sono?, devo dormire di più”.

Ho bisogno di ferie.

E di porgere le mie scuse più profonde a Rick e alla Fia, che avrei davvero voluto rivedere. Mi sento il terzo ingrediente della mia betoniera.

Anche perchè poi non ho tradotto un accidente.

 

Ma che cavolo succede?

“Due punti fanno una linea, tre uno schema” (dal film “Nella mente dell’assassino”)

PUNTO A – Un punto – Un mesetto e mezzo fa, al McDonald di Termini, in mezzo a compagnia di neoacquisiti amici. Non ricordo onestamente con quale pretesto o per dimostrare che, una figlioluccia, col beneplacito del di lei ragazzo, mi si spalanca la scollatura davanti e mi fa “Guardare e non toccare, però, eh?”. Io non solo non tocco ma, al contrario del ben più saggio Mike, non guardo nemmeno; anzi, soggiungo “oh, siamo in pubblico!”. Pure un “se vuoi, in privato ci caccio tutta la faccia”, però quest’ultima frase passa inosservata nello scompiglio generato dalla manovra. Viene per fortuna commentato “Guarda che è vegetariano, non ricchione!”.

PUNTO B – Una linea. – Settimana scorsa. Locale pubblico, il Joyce. Compagnuccia di bevute, in mezzo agli altri, di punto in bianco, senza che nessuno abbia toccato l’argomento, mi ordina: ”Toccami le tette”. Io, salacemente e prontamente, rispondo “EEEH?”. Lei: “Si, senti, non son flaccide, non son nemmeno piccole” “Ci credo, tranquilla!” “Dai, su, tocca” Il Mugna: “Tocca, poi ti fo toccar pure le mie”. Tocco quelle del Mugna, poi sfioro quelle della ragazzuccia tra pollice e medio. Per fortuna basta a interrompere i solleciti. Ma di nuovo “Aspetta che non siamo in pubblico, se vuoi passo mezz’ora a stropicciare”. Onestamente, non m’è mai dispiaciuto. Però non sono uso farlo al McDonald o in un pub.

PUNTO C – Uno schema. – Ieri sera, al ristorante dello Warner Village. Cena con tre amici di lunghissima data. Al tavolo accanto, per combinazione, si siede un mio vecchio compagno di scherma con la sua ragazza. Saluto, scambio due chiacchiere, poi, infelicemente, mi alzo per meglio vedere il carrello dei dolci dietro di lei. Questa nota l’occhiata e inquisice: “Ma guardi il carrello dei dolci invece della mia scollatura, che mi hanno preso in giro tutto il giorno?! Allora sei finocchio!”. Ho risposto solo “C’è il tu’ omo, ma se mi ti giri a favore, te la guardo a modo”. “Nono, sei finocchio”; “Ti ci butto gli spiccioli e poi me li ricerco” “Da costì?” “Sono vegetariano, non ricchione (cit.)”.

 

Ora, premesso che a me, in quanto carente d’affetto durante l’infanzia e soprattutto in quanto maschio eterosessuale e dai sani appetiti, MAI ha fatto dispiacere guardare e financo toccucchiare un seno, io mi domando: ma che è successo? Improvvisamente vi siete messe tutte d’accordo per sottoporre le vostre glandole mammarie alla mia attenzione e al mio giudizio? Io vi voglio bene e vi ringrazio, ma, vi prego, fatelo in privato, senza testimoni e/o pericolo di arresto, acciocchè possa dedicarvi il tempo e la perizia che meritate. Contatti in mail e per chi ha il numero via mms, grazie.

E… se è tutto un complotto per farmi uno scherzone, vi prego, continuate pure, che mi sto divertendo.

“Non è l’autore, nè il luogo in cui viene espressa, che fanno la dignità di una affermazione”

(prof. C. Florenzano, I.T.I.S. A. Meucci, circa 1990)

Quanta ragione, professore, quanta ragione.
Questa sera (per un altro quarto d’ora almeno è “questa sera”), tra una pinta di sidro e una chiacchiera con una amica improvvisamente, inaspettatamente e fugacemente giunta dal bergamasco, mi son dovuto recare in bagno.
Alle mie spalle, mentre shakeravo via gli ultimi distillati, è giunto il Geometra, diretto per fortuna verso l’orinale accanto.
Il Geometra è un ragazzo dall’età collocabile in maniera sicura solo tra i venticinque e i quarantacinque anni, lungo lungo e secco secco, sempre con un paio di pantaloni di pelle e una t-shirt scura, che, probabilmente non è mai tornato da qualche “viaggio” di piacere.
Deve il soprannome di Geometra -quantomeno tra me e il mi’fratello- al fatto che spesso ci entrava nel bar a passi resi ancora più lunghi dalle gambe da trampoliere, talvolta sacramentando, talvolta discutendo tra sè e sè, spesso contando i passi come se stesse effettuando un rilievo catastale. Lui ci ha dato la prova che sono i fatti quelli che contano, noi, per riferirci a lui, gli si mise questo soprannome.
Insomma, mentre arriva, mi guarda e mi fa, oppure “fa” e basta, senza per forza rivolgersi a me che comunque ero l’unico presente:

“Eh, il mondo è strano”.

Dieci minuti prima stavo pensando a chiudermi in casa per una settimana, sovraccarico di input emotivi come mi sento da tre o quattro giorni, e da quella frase ho capito che, beh, se la saggezza, per quanto spicciola e fatalista, si trova pure nel “Gents” del Joyce, è bene che veda più gente possibile.

Eh, già. Il mondo è proprio strano.

Dress code – concorso senza premi

Ovvia, giù, brava gente.

Visto che nei commenti del post mi è stato detto neppure troppo velatamente che vesto in modo implausibile, a voi la palla.

Rivestitemi, su.

Ditemi cosa mi dovrei mettere addosso per tutti i giorni.

Graditi sketches e link a botteghe online (quello a thinkgeek ce l’ho già, grazie).

Fatemi del male.

Però sappiate che dopo il pizzetto, la rasatura a macchinetta e il GPS, sto per (ri)lanciare il bastone da passeggio e il cappello.

Regolatevi.

 

Serve aiuto.

Stamattina mi son svegliato colla faccia su tre cellulari e un palmare.

Era successo altre volte, ma stamani è successo alle otto. E sì che ero pure andato a letto prestino…

Quattro sveglie sui cellulari, quattro sul palmare, un sms ricevuto.

Tutto acquisito e ignorato.

Vada per l’SMS (a volte ho pure risposto, e pure roba del tipo “Chiedo venia se ieri sera non ho più risposto, ma sono crollato. Mi pregio di essere un inesauribile conversatore, questo mi fa onta”), che non ha come scopo primario lo svegliare, ma l’essermi alzato almeno quattro volte, aver tacitato l’allarme, ed essermi riaddormentato, non è da poco.

Il brutto è che non posso mettere gli oggetti nè troppo vicini (li spengo troppo facilmente e continuo a dormire) nè troppo lontani (li ignoro e continuo a dormire).

La faccio breve: qualcuno ha dei suggerimenti che non siano “fatti vedere da uno bravo”, acciocchè io non mi svegli più col tastino 6 tatuato in faccia?