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Cose di casa

Lo sapevate che tra un qualche (un po’ troppo) tempo la Figlioluccia verrà a convivere con me? No? Sapevatelo.
Ecco. Il problema è lo spazio, per ora; non tanto per lei, quanto per l’accresciuta necessità volumetrica per vestiti, scarpe e pentolame (si, che ho il culo che alla Figlioluccia piaccia cucinare, che lo faccia bene e in gran varietà e copia).

In attesa che mi riesca progettare e costruire la cassapanca che, addossata al muro, contemporaneamente sostituirà tre sedie, costituirà dispensa e “romperà” ulteriormente la stanza, abbiamo iniziato la MISSIONE ARMADIO.
Siamo stati da IKEA, KREA (noo, non è quasi plagio, noooo!), Mobildiscount, Mondo Convenienza, qualche altro rivenditore minore, abbiamo scartato a priori Emmelunga del cavolo; abbiamo passato ore all’IKEA -per Befana. Vi rendete conto? Per Befana!!!- l’una o china sul programma di planner guardaroba, l’altro saltabeccante qua e là per il reparto a cercare, che so, com’era l’APPLAD dal vivo, o se c’era un’anta similMALM che non fosse la BIRKELAND (oddio, ormai le so a memoria).

Poi, appena optato per la terza delle combinazioni partorite dal planner 3d (e da una silente promessa a Pasusu che se alla Figlioluccia fosse andato bene l’angolare da me proposto avrei, dopo la mia dipartita, torturato personalmente per l’eternità le anime di una buona parte dei designers IKEA -che secondo me meritano un inferno a parte, tutto in melammina, truciolare e colori fluo, ma è un altro discorso-), tornando da LIDL, siam passati davanti al Mobilmarket.
“Che si fa, si passa anche lì?”
“Giusto per completezza”
Diciamo che per entrare abbiamo dovuto girare attorno all’armadio dei nostri sogni che ingombrava l’ingresso.
Scontato del 45%, in massello.
Indebitatici nel giro di mezz’ora, grazie alla simpatia e disponibilità dei commessi e del responsabile (e non è poco. Giuro, non è poco) per i prossimi sei mesi, la missione è diventata DISPENSA COI CASSETTI. Stavolta IKEA davvero.

Ci siamo andati di domenica, che a noi piace soffrire. Abbiamo dribblato le famiglie allo stato brado e ci siam fatti fare la lista dei necessari pezzi in tempo quasi zero, visto che sapevamo cosa ci serviva.
Dopo la caccia al tesoro nello scaffale 13, e relativo appunto dei pezzi mancanti, c’è stata la placida attesa al deposito, con tanto di maltrattamento e abbattimento quasi definitivo dei sedili della Multipla della figlioluccia, il dribbling di un insistentissimo accattone (“Ma non ce li hai i soldi?” “No, non ho spiccioli, e anche se li avessi col cazzo che li do a te”) e il trasporto in autostrada con me seduto dietro la Figlioluccia che si chiedeva se la odiavo.
No, non la odiavo e non la odio.
Però adesso penso a quando venerdì dovrò portare, secondo la lista materiali, cinquantasette kg di legname in pacchi da due metri e cinquanta, fino su in casa, segare lo zoccolo a misura, comprarne un altro, farlo segare -stavolta bene- dal mi’babbo, e farmi aiutare a montare la dispensa cercando di non far notare che manca il frontale di un cassetto -“arriva tra dieci giorni”-, e non è che la odio. Diciamo che la prossima volta piuttosto le pentole gliele faccio mettere nel letto al posto mio, e io dormo in cucina, sul tappetino dell’acquaio.

Io sapevo che al massimo calava la vista…

Congiuntivite 2

Il mi’fratello è tornato dalla Thailandia che pare Diablo.

S’è preso una congiuntivite virale tre giorni prima di ripartire.

Non tiene gli occhi aperti, e quando ce li tiene si vedon solo due colori: nero e rosso. Niente bianco nemmeno a pagarlo, roba che io m’aspetto da un momento all’altro pianga sangue.

Adesso vi chiedo un suggerimento. Gli ho già detto:

“Era un pezzo che non la vedevi, e t’ha fatto codesto effetto?”
“Ma di tutte le parti anatomiche che mi aspettavo sottoponessi a sforzo, conoscendoti…”
“Sapevo che calava la vista, non che si infiammavano gli occhi”

Come altro posso punzecchiarlo mentre prolunga le sue vacanze -dice- a casa al buio con un cencio fresco sugli occhi -e ieri a casa dei miei invece Stargate se l’è guardato tutto, invece- lasciando che il bar lo mandi avanti mia madre ?

No, dico.

Step TWOEcco qua. vi agevolo la diapositiva 1, dove si nota che siamo quasi a metà lavoro.
Foto presa appena abbiamo finito di intagliare le tacche nei ripiani.

Ovviamente era presto presto oggi.

Abbiamo smontato tutti i ripiani e svitato i montanti, e li abbiamo sottoposti a stuccatura e scartatura.
Ho passato la giornata con in mano alternativamente la raspa quadra, la scartatrice, il dremel, la spatola dello stucco, l’avvitatore, il seghetto -si, che in cima abbiamo fatto i montanti “a scalare”, il trapano.
Adesso il mio ingresso, la mia cucina e il mio balcone sono un inferno di polvere di legno e di stucco, il muro ha la prima mano che copre i segni… ALT!

Già, qui serve una parentesi…

S’era partiti con l’idea di fare i montanti bianchi e i ripiani neri, no?

Ecco, stamani il mi’babbo s’è presentato pure con un bidone di grigio chiaro.

Io: “O beh?”
Lui: “Per la prima mano, m’avanzava”
E mi va pure bene, visto che il nero m’è costato un occhio dalla testa.
Salta però fuori che secondo lui devo pure correggere il muro con quello.
“O non è grigio?”
“E’ chiarissimo quasi bianco, non si vede nemmeno, e poi se fai tutta la nicchia grigia non si vede la differenza”
“Scusa, eh… ma perchè dovrei far la nicchia grigia?”
La logica è inattaccabile: “Non vorrai mica buttar via tutta quella tinta, è uno spreco”.
Insomma, mi lascio convincere a dare la prima mano in grigio mentre lui finisce di lisciare le assi stuccate (e anche il muro, sbeccatosi quando l’asse è andata a premerci contro perchè tirata più a sinista che a destra, come da diapositiva 2).

Credeteci, invece la differenza si vede.
Chiusa parentesi.
Domani mio padre torna di nuovo, una mezza giornata, col nylon da stendere a terra mentre diamo la prima mano -grigia, c’è da chiederlo?) a tutte le assi, e pure a una porta misteriosamente macchiatasi di nero in basso. Per fortuna quella nasceva di quel colore, e non si vedrà troppo. Forse.

So per certo che fino almeno a mercoledì prossimo la scaffalatura non sarà agibile, anche se la vernice che ho comprato (12mq, secondo l’etichetta) dovesse bastare alla bisogna; nel frattempo il mio appartamento da scapolo ha più polvere di casa Addams, nonostante un robot aspirapolvere che vaga senza sosta, e sembra una falegnameria di quartiere.

Vi tengo informati, così sapete di preciso per cosa pregare.

Manuale di fai da te a casa tua e non rompere le scatole a tuo padre.

A ferragosto c’erano il mi’babbo e la mi’mamma a casa mia.

La scusa ufficiale eran le pulizie, che la mi’mamma aveva promesso/minacciato secoli fa “Passo a casa tua e ti aiuto a fare(1) le pulizie, che chissà che strato di polvere c’è dappertutto”(2). O si letica, o le si permette di pulire -con quel tanto che basta di riarredamento che lei spera passi inosservato-, e si da da fare pure qualcosa al mi’babbo.
Invece di farmi aiutare a, che so, fissare e allestire la panoplia che giace nel mio garage da almeno sei mesi, o a ridipingere i termosifoni che, poverelli, piangono ruggine da più di tre anni(3), dopo aver appeso una mensola Malm in bagno, ho proferito la mia condanna ai lavori forzati per le prossime tre settimane:

“Prendiamo le misure della nicchia dell’ingresso, che è un pezzo che vorrei metterci una scaffalatura?”

Inaspettatamente, il po’er’omo ha preso il metro a nastro e mentre io impedivo a mia madre di spostare il tapis-roulant in terrazza, ha preso le misure.

S’è fatto due calcoli, e stabilito che sarebbe stata una scaffalatura all’ungherese, coi montanti per tutta l’altezza del muro su cui appoggiano, incastrati, gli scaffali. Tipo il disegno qui accanto,shelf.jpg solo che avevamo -“ho”, è tutta colpa mia- deciso di mettere le viti di fissaggio al muro nello scavo per il ripiano, in modo che non si vedessero a montaggio eseguito.

Essendo poco profonda, al massimo 15 cm, ma alta, larga e irregolare, vista la non regolarità della nicchia, avremmo dovuto fare un lavoro singolo per ogni montante e scaffale. Lo sapevamo, non avevamo scuse.

Il 16, dopo il sabato lavorativo del sottoscritto, siamo andati al Leroy Merlin a comprare il legno. E già lì si sono aperte le trattative. I montanti da due metri e cinquantotto non esistono in commercio. “Ok, allora, se ne prende uno in più e si giuntano in fondo con due spine, in modo che la giuntura venga nascosta sotto un ripiano e faccia da piede alla struttura.”

Non esistono nemmeno ripiani da due e trenta (o più) spessi due centimetri e profondi quindici o giù di lì.
Esistono però dei pannelli da due e cinquanta -che va bene, si scorciano a misura sul posto- spessi due -che va benissimo-, larghi sessanta -che va benino, si fanno segare in assi da quindici direttamente dal commesso Leroy- che costano QUARANTATRE’ EURO cadauno -che non è proprio il meglio-. Uno di noi piangeva fortissimo quando si è accorto che ne servivano due, più cinque montanti da sette euro e spiccioli cadauno, più una utilissima livella laser autolivellante da trentanove virgolanovanta euro in offerta, più non so bene che e cosa per i miei.

DUECENTO SANGUINOSI EURO di materiale e attrezzi. Lo riscrivo: DUECENTO EURO.

E vabbè, sarà contento almeno il signor Visa.

Portiamo tutto a casa mia. Come? Vabbè che mio padre ha una Kia Sportage, ma il portapacchi non l’ha montato. Quindi le assi da due metri e mezzo vanno tra sedile e sedile, con mia madre che le sostiene col braccio sinistro, io col destro sul sedile posteriore e il vetro del portellone posteriore aperto. Roba da arresto da parte della stradale. Spero come mai prima che non succeda niente per strada, che in caso di incidente per togliermi le schegge di sottopelle servirebbero le tenaglie.

Cominciamo a fare i segni sul muro. Spiego a mio padre che due metri e trenta scarsi divisi in quattro montanti sono 25+60+60+60+25, con i montanti al posto dei più, e che i fori si segnano indipendentemente dallo spessore. Quell’uomo è un genio dell’ “a occhio”, ma per la pianificazione e le misure ha una antipatia spettacolare. Roba tipo “Se era per me si faceva tutta la scaffalatura a terra e poi s’alzava” “E poi si segava dove avanzava dal muro?” “Meglio che far mille tagli”

Insomma: mi sdraio e segno sul battiscopa il punto dove andranno i montanti. Prendo la livella laser, la setto su “verticale” e salgo sulla scala. Segno “il posto” dei quattro montanti. Poi seghiamo in quattro il montante d’avanzo, e ne attacchiamo i 4 pezzi a ognuno di quelli interi. Detta così son tre sillabe, e invece son state due ore d’angoscia, visto che nel frattempo c’era pure mia madre che “Simone, dove lo tieni il Glassex?” “Simone, ma il letto te lo cambio?” “Simone, ti lavo TUTTI gli asciugamani” “Simone, dov’è la mia bottiglina rosa?(4)”.

Insomma, già preventiviamo un buon lavoro di stucco per nascondere le giunture.

Cominciamo a segnare dove andranno gli scaffali, direttamente sul muro. Ovviamente stavolta consideriamo lo spessore del legno, e son tutti conti tipo “ottantasette più quarantadue?”. Si prende la livella laser, si setta il raggio sull’orizzontale a destra, e si proiettano le altezze sulle altre linee verticali a partire dalla prima a sinistra. Facile, no?

No.

La livella era finita in mano a mio padre, visto che io dovevo passare da ‘sdraiato’ a ‘pericolosamente in ciabatte cima alla scala’, e, non si sa come, i primi tre livelli sono venuti inclinati verso l’alto. Diciamo che anche l’autolivellamento laser ha i suoi limiti, se si tiene la livella “quasi a 45” invece che “quasi orizzontale”. Ma vabbè. Cancello con un cerchietto i segni sbagliati e ne faccio di nuovi. La livella passa in mano a me e la matita a mio padre, per i segni “a portata di mano”.
“Ecco, ho fatto un tondino intorno a quelli buoni” sento proferire dopo qualche decina di secondi.

Terzo passo: frecce bilaterali sui segni definitivi.

Prendiamo quindi i montanti, che, tirati e asciutti, possono esser presentati alle rispettive misure. Sfortuna, o ormai abitudine, vuole che non possiamo nascondere sotto una mensola bassa la giunta, visto che in basso la medesima corrisponderebbe quasi perfettamente con una vite, rendendo inutile quest’ultima, fragile il sostegno, e destinato a crollare rovinosamente il ripiano corrispondente.

Facciamo la tacca per incastrare il battiscopa e rendere i montanti aderenti al muro -vana speranza, il muro è pure concavo, vediamo(5)-, poi su ogni montante marchiamo dove dovrà essere avvitato al muro da una parte e intaccato per la mensola dall’altra. Geometria vorrebbe che, una volta allineati a partire da terra, tutti i segni siano alla stessa altezza. Invece no. Non ce ne sono due pari. Capiamo che anche il pavimento ha qualche ondulazione. Quindi, l’atto di incoscienza. Mandiamo a fanculo i segni sul muro, tiriamo una riga “di media” a quelli sulle assi e li facciamo tutti corrispondenti. Anche qui, sembra che quattro montanti per otto scaffali, quindi trentadue scanalature, siano tre minuti di lavoro. NO. Ditelo ai vostri figli, usate me e mio padre come esempi da non seguire. Comprate delle Billy all’IKEA che, si, non son granchè, non sono a misura di nicchia, ma almeno se non torna il pezzetto andate a faccina dura al banco clienti e gli dite “eeeh, è segato troppo follo” “Eh?” “Cambialo e basta”. Bisogna prima segnare dove va il foro per la vite. Riportare la misura sull’altra faccia dell’asse, con squadra e precisione. Poi disegnare la scanalatura aggiungendo simmetrici, precisi, lo spessore del ripiano e la profondità dell’incastro. Fatto? Ecco, per trentadue, mentre CONTEMPORANEAMENTE cercate di impedire a vostra madre (quindi senza utilizzare violenza, male parole o toni troppo accesi) di riarredarvi lo studio, riordinarvi i cassetti della biancheria, nascondervi e/o perdervi e/o “mettere al sicuro” (il sinonimo dei primi due preferito da mia madre*(6)) minuteria elettronica, appunti vitali, viti e/o molle non rimpiazzabili che voi avete messo “lì” proprio perché non c’era pericolo di perderle, in bella vista come erano (“Ni’mezzo, non si poteva nemmen spolverare”, dirà lei. “E ora dove le hai messe?” “O ‘un son lì?” “No” “L’hai a rimettere a posto te, la roba, vedrai tu la ritrovi!”), e ricatalogarvi anche le bollette (in ordine di importo, che data e beneficiario sono concetti superati)

Torniamo a noi. Abbiamo, io nel ruolo di terza capra poggiaassi, mio padre a manovrare la sega radiale (trentacinque kg, per lo meno, immaneggiabile e intrasportabile. Però ringrazio Chtulhu per la sua presenza, se no ero sempre lì a segacciare), fatto le tacche. Poi è sorto il problema dei fori delle viti. Quattro centimetri di legno da forare, in fondo a un’asola di cinque, in mezzo a un’asse di due centimetri. Come si fa a esser precisi senza sbordare qua e là, o spezzare il legno? A occhio, e col trapanino a colonna, e vaffanculo. Portiamo le assi in garage calandole dal terrazzo, e provvediamo. Il mio trapano a colonna ha la potenza di quei cosini che si mettono nei bicchieri per far fare la crema al caffè, e sussulta e sbuffa come un toro meccanico, e questo va a nostro onore, visto che ce la caviamo più che bene.

Ora, mio padre è convinto che solo i gay possano usare un avvitatore(7). Quindi, una volta fatte risalire in terrazza le assi, abbiamo provveduto a inserire le viti nei fori del legno per poterci segnare il muro lungo le linee dei montanti corrispondenti. Per fortuna, la sua convinzione è relativa solo al MIO avvitatore, che in realtà ha una sua dignità, e abbiamo potuto quindi abbozzare colle autofilettanti i primi fori nell’intonaco nonostante l’esplosione della batteria del SUO Makita.

Ovviamente, trentadue fori, trentadue espansori, due punte “cotte” sulla protrusione di cemento armato dalla colonna a mezzo metro, e solo UN foro non perfettamente corrispondente alla rispettiva vite alla fine.

Impolverati di segatura, mattone e gesso, molliamo le armi. Mio padre e mia madre se ne tornano a casa loro portando seco come bottino di guerra e retribuzione il mio tapis roulant, che mia madre “deve assolutamente usare(8)”.

Ieri mio padre è tornato da me dopo il mio turno di lavoro. Abbiamo segato a misura i ripiani(9), segandoli secondo la larghezza della nicchia in quel punto (e in quel momento, temo di dover dire), allargato a suon di Dremel e carta vetrata le tacche nei montanti, usato i medesimi per stabilire i punti dove scavare i ripiani. Anche qui, trentadue costruzioni a forza di squadra, e non una sbagliata. Solo uno spiacevole incidente con “tiralo via diritto, se no mi si” -CRACK!- “scorteccia il muro”, e tanta di quella polvere di legno nel corridoio da far sembrare che mia madre non mi avesse mai fatto visita.

Temo per domani, che vanno scartate anche le tacche sui ripiani -già segate, stavolta a mano-, smontato tutto,vanno resi ottusi gli angoli retti “a vista”, poi va stuccata, scartata e lisciata, ed infine verniciata ogni asse, ovviamente a mano.

Vi tengo informati. Intanto ho preso ferie per venerd , e comprato due barattoli di colore nero, che neppure il mio ottimista padre riteneva sufficiente mezzo barattolo da mezzo kg per otto ripiani da due metri e mezzo.

Ah. Se tornassi indietro lo rifarei(10). Sarò scemo?

(1)Leggasi: “Ti faccio, come pare a me, criticando arredamento, disposizione, colori di casa e la tua vita in generale e guai a te se ci metti bocca”
(2) In realtà no. E che cavolo.
(3)Lo so, sono vergognoso. Ma la pittura non è una delle tre cose che mi riescono.
(4)Lo sgrassatore. L’ha perso sei volte.
(5)Riassumo. Quella nicchia è un quadrilatero che non ha due lati paralleli nemmeno a pagarli, non ha profondità uguale ai due lati, destro e sinistro (15 contro 13,5), e la cui unica parete è una sezione di sfera. Fate voi se poteva venir fuori qualcosa di rapido e facile.
(6) Ai tempi, aveva messo talmente al sicuro le tessere elettorali che abbiamo fatto la fila in comune il giorno prima delle elezioni per farcele rifare. E poi tanto al sicuro non erano, visto che, banalmente, le abbiamo trovate dove poi ha messo le copie.
(7)Però lui ha un Makita che se fermi la vite e ti attacchi al manico ti sventola come a Siena il giorno del palio.
(8)Sarei stupito se venisse mai calpestato.
(9) Ne è venuto solo uno, troppo corto, poi “spinato” e sistemato. Mi son distratto per via di una telefonata, e mio padre l’ha segnato da solo. Sul nylon protettivo, che ovviamente è scivolato e ha presentato la misura alla sega una panna più in là. Per fortuna mio padre non è un cardiochirurgo, oppure farebbe i segni preoperatori sui cappotti.
(10) Ovviamente, tranne l’acquisto della livella. Un salasso, e poi s’è rifatto tutto a spanne. E meglio.

Ananas al cioccolato piccante

Visto che me l’hanno chiesta al Mercatino Giapponese, mi tocca presentare la ricetta succitata.

Non do quantità, così vi regolate secondo gusto 🙂

Svuotate un ananas lasciandone intera la buccia: tagliate il ciuffo e procedete di lì con l’apposito attrezzo oppure con un coltello lungo e flessibile. Salvate la parte centrale, più fibrosa, che è ottima inzuppata nella cioccolata avanzata.

Tagliate a dadini la polpa, mescolate con ciliegie -meglio delle fragole, che hanno il sapore troppo simile-, bagnate abbondantemente con limoncello e/o succo di limone.

Fondete a bagnomaria, ma va bene anche al microonde, del cioccolato fondente con un po’ di burro, del limoncello, peperoncino in polvere. Ci sta bene anche un po’ di paprika, che ha pure il dolce. Assaggiate spesso, che siete lì apposta.

Usatelo per foderare l’interno della buccia, in modo da evitare che il succo goccioli via.

Versate di nuovo quel che del ripieno c’entra, il più asciutto possibile e senza premere, e godetevi il resto, immerso nel liquido come una macedonia alcolica, a parte, magari il giorno dopo.

Versate dal’alto il cioccolato, in modo che riempia gli interstizi tra i pezzi di frutta.

Mettete in frigo acciocchè si rapprenda, servite dopo aver rimesso il ciuffo, sporzionate spezzando il cioccolato.

Tanto brutto quanto buono.

 

(e io il cioccolato piccante lo fo da quindici anni, prima che diventasse di moda, ‘ccident’a’copioni)

 

 

“Solo un amico”

Ricordo che appena ho cominciato a infatuarmi di esponenti del gentil sesso, troppo spesso mi son sentito rispondere “per me sei solo un amico”.

Ho cominciato a credere che si tratti di una frase insegnata e tramandata di donna in donna, perchè non ha senso. Punto. E’ come giustificare, che so, un incidente d’auto perchè l’altra auto è rossa. Magari è vero, ma non c’entra niente.

Ho cercato di approfondire, di capire, giuro. Ho suggerito di esser sincere: “Oh, di’ pure che non me la daresti nemmeno se fosse d’un’altra, che esteticamente ti paio un incidente col vetriolo, dimmi quel che vuoi, ma non giustificare il tuo rifiuto con quello che dovrebbe essere un mio pregio”.

No, dico. Io e te amici, se ci mettiamo assieme e va bene, è pure una buona base per costruire. Se non va bene, almeno restiamo amici. Dev’essere solo una cosa di sesso? Ho fatto il miglior sesso della mia vita con un paio di amiche, che non avevano nè il limite del troppo egoismo di “sto bene io” della scopata occasionale, nè quello del troppo altruismo di “stai bene tu” dell’innamoratina pura. Era un “stiamo bene tutti e due” di due persone che si voglion bene e stimano. Ci ha diviso solo la vita, non certo il sesso o l’essere andati oltre.

Infatti, ho visto le stesse amiche che han rifiutato un coinvolgimento o una peraltro premurosa e altruistica copula praticar fellatio a sconociuti quasi perfetti o andar avanti con stronzi apocalittici per anni. Avranno altre doti, ovviamente. Però, cavolo, quando venivano da me a sfogarsi piangendo perchè col fidanzato, oltre al sesso, non c’era dialogo o punti in comune, le avrei prese a schiaffi a quattro a quattro finchè non diventavano dispari.

Mi hanno detto “Per me gli amici sono asessuati”. Lo trovo addirittura offensivo della mia virilità. Oh, ‘azzo vuoi, asessuata sarai tu. Io ho una sessualità anche abbastanza rispettabile, solo che TU scegli di non vederla. O scegli di fingere di non vederla. Io -come suppongo tanti altri maschietti- darebbero i proverbiali “du’colpi” a quasi tutte le mie amiche. Se voglio loro bene, non capisco, neppure facendo schemini, flow-chart, diagrammi a blocchi, simulazioni computerizzate, come volergliene anche fisicamente potrebbe sminuire la parte emotiva, anzi.

Mah, sarò strano io. Non ci arrivo proprio, ecco. Mettetela sul personale, ve ne prego. Sono esteticamente/moralmente/intellettualmente repellente? DI-TE-LO! Meglio inguardabile/inchiavabile (cit.) che inesistente.

 

Se qualcuno di voi ha visto il film “Dillo con parole mie” ricorderà la battuta di risposta “perchè, se andiamo a letto diventiamo nemici?”. Ecco. Meno balle, ciccine.
Dite “A te no, non mi fai sangue”. E’ meno offensivo per la nostra intelligenza.

 

Ma che cavolo succede?

“Due punti fanno una linea, tre uno schema” (dal film “Nella mente dell’assassino”)

PUNTO A – Un punto – Un mesetto e mezzo fa, al McDonald di Termini, in mezzo a compagnia di neoacquisiti amici. Non ricordo onestamente con quale pretesto o per dimostrare che, una figlioluccia, col beneplacito del di lei ragazzo, mi si spalanca la scollatura davanti e mi fa “Guardare e non toccare, però, eh?”. Io non solo non tocco ma, al contrario del ben più saggio Mike, non guardo nemmeno; anzi, soggiungo “oh, siamo in pubblico!”. Pure un “se vuoi, in privato ci caccio tutta la faccia”, però quest’ultima frase passa inosservata nello scompiglio generato dalla manovra. Viene per fortuna commentato “Guarda che è vegetariano, non ricchione!”.

PUNTO B – Una linea. – Settimana scorsa. Locale pubblico, il Joyce. Compagnuccia di bevute, in mezzo agli altri, di punto in bianco, senza che nessuno abbia toccato l’argomento, mi ordina: ”Toccami le tette”. Io, salacemente e prontamente, rispondo “EEEH?”. Lei: “Si, senti, non son flaccide, non son nemmeno piccole” “Ci credo, tranquilla!” “Dai, su, tocca” Il Mugna: “Tocca, poi ti fo toccar pure le mie”. Tocco quelle del Mugna, poi sfioro quelle della ragazzuccia tra pollice e medio. Per fortuna basta a interrompere i solleciti. Ma di nuovo “Aspetta che non siamo in pubblico, se vuoi passo mezz’ora a stropicciare”. Onestamente, non m’è mai dispiaciuto. Però non sono uso farlo al McDonald o in un pub.

PUNTO C – Uno schema. – Ieri sera, al ristorante dello Warner Village. Cena con tre amici di lunghissima data. Al tavolo accanto, per combinazione, si siede un mio vecchio compagno di scherma con la sua ragazza. Saluto, scambio due chiacchiere, poi, infelicemente, mi alzo per meglio vedere il carrello dei dolci dietro di lei. Questa nota l’occhiata e inquisice: “Ma guardi il carrello dei dolci invece della mia scollatura, che mi hanno preso in giro tutto il giorno?! Allora sei finocchio!”. Ho risposto solo “C’è il tu’ omo, ma se mi ti giri a favore, te la guardo a modo”. “Nono, sei finocchio”; “Ti ci butto gli spiccioli e poi me li ricerco” “Da costì?” “Sono vegetariano, non ricchione (cit.)”.

 

Ora, premesso che a me, in quanto carente d’affetto durante l’infanzia e soprattutto in quanto maschio eterosessuale e dai sani appetiti, MAI ha fatto dispiacere guardare e financo toccucchiare un seno, io mi domando: ma che è successo? Improvvisamente vi siete messe tutte d’accordo per sottoporre le vostre glandole mammarie alla mia attenzione e al mio giudizio? Io vi voglio bene e vi ringrazio, ma, vi prego, fatelo in privato, senza testimoni e/o pericolo di arresto, acciocchè possa dedicarvi il tempo e la perizia che meritate. Contatti in mail e per chi ha il numero via mms, grazie.

E… se è tutto un complotto per farmi uno scherzone, vi prego, continuate pure, che mi sto divertendo.

Ripiego

Vorrei scrivere un post sulla frase, tutta femminile, “Non posso venire a letto con te, siamo solo amici”; dovrei andare avanti col racconto.

Però ci vorrebbe molto più tempo di quanto ne abbia a disposizione -sono indietro pure coi sottotitoli e con un montaggio video per un’amica- e non mi sento di abborracciare.

Ergo, vi informo che ieri ho filtrato, stilla a stilla, due bottiglie di idromele e le ho sottoposte a pastorizzazione.

Non sono al corrente del risultato, per adesso… ma queste ve le voglio far vedere…. Idromele “Uomo d’arme” in formato mignon 🙂

Ovviamente, son tutt’altro che una cosa seria.idro.jpg

 

Dentro e fuori

Ieri dopo il lavoro sono andato al LIDL, che c’erano in offerta l’HUB USB e la pendrive.

Mia madre, saputolo in anticipo, ne ha approfittato appioppandomi una lista di tre oggetti per una mezza dozzina di kg (“confezione da 6 bottiglie acqua tonica, varechina flacone convenienza…”), pertanto prima di scendere dall’auto, per una volta in vita mia, mi son ricordato di prendere il borsone da carrello per poter portare tutto.

Ovviamente, in corsia niente pendrive. Agguanto una commessa, che mi riferisce “Memorie finite, le porte sono alle casse”.

Mi metto in fila.

Quando sto per appoggiare il borsone sul chilometrico nastro, vedo una tizia dietro a me sommersa di roba tenuta in mano, tipo tappetini in poliuretano salvaginocchia. Dico solo “Posso?”, glieli levo di mano, li appoggio sopra il borsone.

“Uhgrazie,” fa lei “eh, non sono organizzata come te… sono entrata per due cose, non ho preso il carrello e poi…”

“Tranquilla” dico io guardandola in faccia e sorridendo (Molto caruccia. Una bella Signora curata. Magari un cinque o sei anni più di me, e lo stesso caruccia assai. “Da battaglia”, come avrebbe detto il Ragno ai tempi d’oro) “di solito ci sono io, sormontato di roba, che dimentico la borsa in auto… e ho solo tolto il più leggero”

“Ma che bella borsa… ma dove l’hai trovata?”

OK, io sono un nerd. Sono pure un perfetto imbranato nei rapporti col gentil sesso. Ho “broccolato” solo DUE volte, “a vista”, e della seconda non sono nemmeno sicuro.

Però, in quanto latore di molte delle medesime, so riconoscere le “scuse pretestuose di conversazione”. E lo sguardo trombino lo so riconoscere, visto che la sua carenza nelle mie interlocutrici ha segnato la mia esistenza. Oddio, ci stava provando!!! UNA DONNA CHE CI PROVA CON ME (aspettatevi il settimo sigillo, a breve)

Ho cominciato, stranamente senza balbettare, a decantare le lodi della borsa agganciacarrello della esselunga, con tasca portamonetina il gettone contenuto nella quale è ottimo per la CONAD… una quantità di stronzate impareggiabile. E continuava ad ascoltarmi rapita.

Mi ha salvato dall’implodere solo la cassiera, che non sapeva dove tenesse le HUB. “SilverCrest, è quella scatola là”, faccio io, e quando me la porge taglio col Victorinox che tengo in tasca il nastro adesivo che ne copre l’ottanta per cento della superficie per evitare che la cassiera continui a graffiarlo con le mani, come un gatto alla finestra.

“Uuuh, com’è attrezzato!” sento dire dalla Signora dietro di me. Mi mordo il labbro inferiore per non rispondere “Già mi immagina nudo, eh?”, battuta peraltro scontata ma che la signora non si meritava.

Continuando a sorridere, pago, saluto la cassiera, saluto ancora più amabilmente la signora e torno all’auto, e solo lì realizzo che ho lasciato cadere un’occasione che quelche anno fa avrei considerato implausibile (“A chi, a me? naah”)

Perchè magari sono piaciuto (credo, ovviamente, che di certo non ero nel capo alla Signora)? Perchè ero rilassato, tranquillo, credo. Le ho tolto di mano i salvaginocchia senza secondi fini, senza tensione, perchè era meglio farlo, non perchè “se lo faccio magari…”.

Non ero di fretta, non ero teso, ero sorridente e tranquillo.

Questo mio stato di beatitudine, per quanto preludio a chissà quale tragenda, si sta davvero estendendo al mio esterno, al mio modo di agire e relazionarmi, evidentemente.

(Non assumo sostanze stupefacenti, giuro!)

Non sono autocelebrativo perchè me ne bullo… è che sono sorpreso, sto cercando di condividere, finchè dura, questo stato di serenità. Mica posso scrivere solo post di disgrazia, atarassia e rancore!

E poi…

Sono sorpreso anche solo di non aver indagato. Una donna che compra dei salvaginocchia pratica certamente attività molto interessanti, no?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si, si, funziona!

Stamani, appena ho messo piede in ufficio, prima che potessi anche solo allungare la mano per accendere il PC, il capo mi ha assegnato tre lavori, uno dei quali tramite post-it e conseguente ditata sullo schermo.

Ho fischiettato. L’avrei fatto pure due settimane fa, ma dalle orecchie.

E mentre il pc avviava la sua procedura blindata, intoccabile, aziendale e della durata minima di dieci minuti per l’avvio,  invece di esortarlo ringhiando e scuotendo il monitor, sono andato a lavarmi i denti a dir poco meticolosamente. Sto usando meglio il mio tempo e le mie energie, tutto qui.

Oggi al McD mi hanno riconosciuto e servito il caffè “col latte freddo, vero?”. Anche quelle sono soddisfazioni.

Mi stanno sparendo i brufoli. Sto dimagrendo. Sono calmo e rilassato.

Come disse qualcuno in un altro blog, con parole meno scurrili, sto per averlo nel culo.

Ritmi

Sto meglio. Ho trovato i miei ritmi per la mattina, suppongo. Fisici e mentali. Ne parlavo ieri davanti a un’acqua tonica e mozzarelline fritte, coi soliti del mio Cheers.

Sveglia dieci minuti prima del solito.

Appena in piedi, succo e biscotti, in modo da alzare subito la glicemia e avere il ”carburante”.

Qualche minuto di esercizio leggero. Talvolta pesi, talvolta corpo libero, a seconda di quanto volenteroso mi sono alzato.

Abluzioni.

Preparazione bento, se non è già in frigo dalla sera precedente.

Sul viadotto Marco Polo, sosta dal McDonald, per caffè e brioche (un euro) da portare via.

Cinquanta metri più avanti, coda. Invece di dannarmi imprecando e sbuffando, faccio colazione con quanto sopra, ancora calduccio. E, diciamocelo, la mattina inizia meglio, se usi un tempo morto facendo qualcosa che ti piace quasi quanto le facce di invidia dei vicini di auto. A volte c’entra pure un ritocco alla rasatura col rasoio a pile che tengo nel cruscotto.

Arrivo al lavoro calmo e rilassato, e soprattutto, già sveglio sia nel fisico che nella mente. E, sospetto perchè do una bella “pedalata” al metabolismo, ho pure perso tre kg. O così, oppure ha letto il blog e mi vuol dimostrare di cosa è capace.

Ho poi imparato a cercare piccole mete, piccole gioie.

Le dieci per il caffè, mezzogiorno per il bento, le quattordici per il the o il caffè alla macchinetta coi colleghi, il libro la sera, il telefilm appena a casa, anche il prima tanto odiato turno serale perchè al mattino posso far la spesa con calma, la birra con gli amici.

La vita è fatta anche di piccole gioie che dobbiamo imparare a riconoscere. Stamattina mi sono svegliato piena di voglia di fare, muovermi, lavorare. Che bello, quel quarto d’ora a letto ad aspettare che passasse!!! 

 

Onigiriade

Comincia per l’ultimo dell’anno: mi chiedono cosa mi piace preparare, e io rispondo “il sushi”.

La sera prima, passo un paio di ore a sformare riso a catena, con la mi’mamma che ogni tre per due propalava un “oioi che mal di stomaco” senza aver mangiato nulla e “Simone, smetti, che tanto codesta roba la non piace, non la mangia nessuno”.

Questo il risultato:

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L’ottima Vipera, linkata qua accanto, incosciente, chiede a me la ricetta, e io commento allegando questo:

“Via, giù.
Allora, innanzi tutto serve il riso adatto. Se non hai il riso alla giappa, va bene quello per arancini e supplì, o un vialone nano.

Lo lavi finchè l’acqua non va via limpida, mi raccomando.

Per ogni tre tazze di riso -asciutto- ne metti in pentola 4 di acqua, mezza di aceto di riso (o di mele), un quarto di zucchero, e un cucchiaino di sale.

Se leggi da qualche parte che ci va il dashi, c’han ragione. Però è pesce, e io non ce lo metto. e nemmeno te.

cuoci. e sai come e quanto, visto che l’acqua deve essere assorbita.

Sai come si arrotolano i rotolini?
No?
Ok. standi l’alga Nori, venduta già in pratici fogli, sull’apposito tappetino, che è meglio se hai ricoperto di pellicola trasparente. La parte lucida dell’alga deve star sotto, non a contatto col riso. con le mani bagnate in acqua e sale, a riso ancora caldo, stendi quest’ultimo.
Metti nel mezzo quel che più ti aggrada.
Io uso

-cetriolo e semi di sesamo
-philadelhia
-philadelphia e pomodori secchi
-seitan a listelle
-carota a listelle

e pure qualcos’altro che mi verrà in mente dopo aver premuto “invia”.

dopodichè arrotoli con tutto il tappetino, pressi bene e sigilli l’alga come si fa con la carta delle sigarette. ribagni il coltello nell’acqua e sale e ne fai tondelli.

in alternativa alla nori, puoi usare una bella rotolata nel sesamo.

servire con una bela ciotolina di salsa di soia e wasabi in cui pucciare.

serve pure la ricetta per il nigiri alla frittatina (tamagoyaki) e l’onigiri con purea di umeboshi (le polpette di sampei)?”

E con questo repost, spero di far contenta anche Heidi 😉

Lunedì sera m’è preso un altro attacco e ho realizzato sia la bento belt che il kinchaku-furoshiki qui sotto

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Primi sintomi, questi ultimi, del mio bisogno di smanaccioterapia.

Oggi è maiala. Assai.

Dopo quindici anni

Anzi, almeno quindici anni, ho fatto di nuovo un sogno erotico.

Però, visto la rarità, mi son trattato da signore: sbolognata l’Aurora al tato, mi son messo a far acrobazie colla Hunziker. No, dico, la Hunziker!

 

Quello che mi perplime è che c’era Eros a guardare, e non me ne fregava nulla.

Citazioni

“il Philadelphia è proprio una puttana: va con tutto”, mi disse una mia amica mentre lo infilavo, assieme a listelle di pomodori secchi dentro un sushi roll.

Stamani, mentre lo spalmavo sul mio cinque cereali assieme ai succitati, non ho potuto non ripensare all’ottimo paragone.

Sarei un atleta, se avessi il fisico.

E’ la terza, forse la quarta volta (credeteci, non me le segno, anzi, tendo a rimuoverle, come succede con gli incidenti gravi) che vado a correre con la Piaga*.

Si, a correre, nonostante che anche io sia fermamente convinto che gli esseri umani nascano con un numero predefinito di battiti cardiaci e sprecarne una sacchettata correndo qua e là sia uno spreco e, anzi, uno schiaffo alla miseria.

Però mi tocca. Non mi si può guardare, sto continuando a distillare materia dall’iperspazio (ormai è questa la spiegazione ufficiale -e pure, ahimè, la più plausibile- del mio aumento di peso, visto che il cibo è diminuito), la bella stagione si avvicina (lo so, è arrivata da un bel pezzo, ma datemi respiro, ok?), a settembre ricomincia la scherma e non posso andare con un fischietto in gola.

Io ci ho provato, a tenermi in forma, da quando ho smesso la scherma. Tapis roulant abbastanza spesso, panca multifunzione ancora più spesso. Però s’ha da correre. E la povera Piaga correrebbe di più e meglio senza me tra le scatole.

Perchè sono una tragedi? I problemi, anzi, i comma 22, sono un paio.

– Peso troppo per fare attività fisica, però se non faccio attività peso troppo. Dovrei già essere calato qualche chilo, per poter correre decentemente, senza dover fermarmi cercando con lo sguardo una bombola di ossigeno ogni sette passi contati. Allora, per poter calare di peso, corro. And so on.

– Da solo mi rompo i coglioni, in compagnia è impossibile. Ho provato, giuro. Da solo, col mio ritmo, il mio lettore MP3, gli occhiali da sole avvolgenti della Dunlop, il polsino di spugna, col cardiofrequenzimetro che declina ogni responsabilità, mi son messo in corsa solitaria ed elastica verso il tramonto… aahhhh… m’è preso lo sconforto nei primi cento metri, mi son visto ridicolo al mezzo chilometro, la rabbia al chilometro grossomodo, un principio di infarto e anossia al chilometro e mezzo. Ai due chilometri piangevo già come un vitello, e col volante in mano sulla strada di casa era contro tutte le norme del codice della strada.
Invece in due è tutta un’altra cosa. Di solito la Piaga si infila le cuffiette, io provo a star dietro vaniloquendo su qualcosa, contento d’aver compagnia. Crollo per asfissia a metà di un discorso nei primi venticinque metri.

E allora? Il mio solito tapis roulant mentre guardo un dvd, in camera mia, tre volte la settimana. Passo veloce, di nuovo, per adesso. Poi si vedrà.

 

Non tendo certo a rimuovere per colpa della Piaga, beninteeso, poverella, che è una compagnia adorabile.

Di necessità virtù

Io sono single, ormai s’è capito, e vivo da solo.

Pranzo o ceno fuori casa, secondo gli orari lavorativi, e pure questa s’è capita.

Quando posso investire un po’ di tempo in attività manuali, mi preparo un bento, una schiscetta, un pelo più elaborata e gradevole a vedersi. Quella del bento, lo so, è difficile da accettare, ma anche quella ormai è detta e ridetta.

Stasera, per la solinga cena delle 20.00 sul posto di lavoro, avevo meco due panini.

Preparati non in frettissima, per l’amor di Chtulhu, ma molto più sbrigativi del nigiri col tamagoyaki.

Acchiappando ingredienti quasi a caso, sperimentando, ho creato degli accostamenti fortuiti ma sorprendenti.

– Pane cinque cereali, quello a cassetta del Mulino Bianco, che non contiene strutto; vi si stende sopra uno strato monomolecolare di maionese, la si spolvera di cumino e vi si allinea uno strato di carote crude tagliate filangee, alla julienne o a listelle. 

– Pane cinque cereali; formaggio marzolino tagliato il più possibile sottile, spolverato di coriandolo; il prossimo esperimento comporterà anche la partecipazione di una fetta di pomodoro insalataro.

Son rimasto quasi male da quel che era venuto fuori tanto bene da tanto poco. Magari se avevo un frigo decente invece del fan-coil era pure meglio, ma non si può avere tutto, no?