Contro vento si va…

Giovedì ero a Roma, lo sapevate? Sapevatelo!
Ho incontrato una mia corrispondente -una bambolina!-, ho partecipato alla registrazione di un quiz televisivo che andrà in onda l’11 maggio, ho cenato con il mio amico regista e gli altri concorrenti. E’ della cena che voglio parlare.
Avevamp pianificato con il mio accompagnatore -il regista-, fine esteta, sommelier e gourmet, la cena presso un ristorante giapponese di sua conoscenza, un kaiten-sushi di basso prezzo e ottima qualità.
Si sono aggregati i concorrenti esclusi prima di me, e i loro accompagnatori.
Però “per l’amordiddio no, che il giapponese me lo mangio a Milano! andiamo in trattoria a Trastevere”, fa uno.
Inutili le proteste di “già, facciamo i turisti, con uno del posto a consigliarci!”, subito annichilite da un “anche in Marocco abbiamo mangiato Italiano! lo facciamo ovunque andiamo, il giapponese proprio no”.
La stessa concorrente che se li era tirati dietro era d’accordo con noi, checchè vegetariana come me. Insomma, per mediare e accontentare quasi tutti (anzi, quasi accontentare tutti) Luca, il mio amico, ci ha condotti in una pizzeria del Testaccio.
Tonnarelli cacio e pepe, carciofi e cicoria, vino dei castelli… tutto buono e a poco prezzo, però ben lontano dalla qualità del sushi decantatami da Luca.
Tutto questo per una domanda: perchè per non scontentare nessuno, si finisce quasi sempre col non accontentare nemmeno?
E’ proprio così fallimentare la democrazia?
Intendo: accontentando (quasi) due persone, altre sei sono rimaste non entusiaste.
Magari scontentando quelle due (e non è detto, che se il giapponese non lo provano, non posson saperlo) eravamo entusiasti noialtri sei.
Eticamente, praticamente, socialmente, cosa conta di più?

Male minore

Checchè lo definisca ancora “il male minore”, il Cardinal Martini ha dichiarato l’uso del profilattico preferibile al contagio per via sessuale dell’AIDS.

Immagino la rabbia di Ruini, che fino a ieri predicava la castità come panacea per tutti i mali.

Dell’interpretazione dei sogni

Ieri notte ho sognato di nuovo Lei, complici gli auguri scambiati per Pasqua e la rilettura di qualche mio post durante la fase di ripubblicazione.

Era su un treno in partenza, e io per chiarire una volta per tutte ciò che provo/provavo per Lei salivo su, e rimanevo, senza biglietto, a parlarle anche dopo la partenza. Prima fermata: Cina.

Non la ricontatterò. Rischio di rimanere coinvolto di nuovo, e non sono attrezzato.

Lost & Found

Ho appreso con sommo gaudio che la mi’mamma, avvezza -tralasciando un exploit in Twin Peaks- sinora a Dallas e cosine del genere- non si perde una puntata di Lost.

Dice che le fa rabbia perchè ogni tre per due ti danno una risposta e altre tre domande, ma non ne può fare a meno.

Sono molto orgoglioso di lei. Io lo posso dire, visto che mi son mangiato fino alla 2.17 in inglese :/

Ho finalmente concluso il recupero del “Dietro la maschera” di qui a destra. Un giga e rotti, ma ne vale la pena. 

Vengono riproposte ogni trenta secondi boiate immani -credo sia almeno la quarta volta che vedo in prima serata al sabato “Baby birba”-; perchè un film un pelo più pesante ma con una spinta emotiva sconvolgente se lo tengono ben stretto negli archivi e se lo fanno scappare solo alle tre di notte??? 

 

Ecce Blog!

Per adesso ho copiato tutti gli articoli, tranne un paio che per chissà quali motivi mi davano problemi di visualizzazione.
Presto toccherà ai commenti regressi e al trasferimento delle foto, che al momento non sono in locale.
Per festeggiare, quelli di voi con lo stomaco forte possono leggere il sottostante brano del mio racconto a puntate 🙂

6 -esplicito-

“Scommetti?”, aveva riso con l’amico, meno di un quarto  d’ora prima, e adesso le due ragazzine stavano facendo loro un pompino a testa. Non era il suo record personale, dieci minuti per accordare le aure, checchè facilitato dalla  quantità spropositata di alcool che le due avevano in corpo e che aveva portato ben piú d’una sfumatura d’eccitazione sessuale pura, animalesca, nelle aure d’entrambe. Era chiaro che le due erano fuori casa per farsi scopare da qualcuno e usavano l’alibi dell’alcool per coprire il senso di colpa e l’autocompassione che avevano quando erano uscite.
Il difficile era stato accordare l’aura di Paolo con quella della “sua tipa” solo “pompando” lei con parole e linguaggio del corpo verso di lui; sospettava d’aver raggiunto un risultato così immediato perchè ormai l’aura del suo compagno di danni in giro per la Toscana gli era familiare come la propria.  S’erano fatto un nome, in azienda: “i tromba”, visti i racconti che, ad arte, Paolo si lasciava sfuggire quasi ogni lunedì.
“VINTO!” disse, a voce fin troppo alta anche per farsi sentire sopra la musica, dal cesso accanto al suo, Paolo. Sentì tirare l’acqua: la ragazzina doveva aver sputato. E già gli era andata bene che non gli aveva vomitato acido e alcool sul cazzo. Solo perchè era un pelo più carina dell’altra, due occhioni limpidi e chiari, un sorriso luminoso e una “erre” arrotata che la poteva far attribuire origini francesi, Paolo l’aveva puntata subito. Leonardo invece aveva preferito la lenta, pulsante animalità dell’altra, che stava godendosi quel che stava facendo quasi quanto lui. Quando Paolo aveva finito, lui non era nemmeno vicino a venire, e lei ancora stava “ingranando”, godendosi il ritmo ed eccitandosi. Accosciata, quasi subito aveva cacciato la mano libera tra le gambe, sotto la gonna, e aveva cominciato a stropicciarsi il sesso da sopra le calze.
“Aspettami fuori, che io ‘vengo’ tra un po'” comunicò Leonardo a quello con cui  fingeva di essere amico.
La ragazzina -Leonardo ne ignorava il nome, come ignorava o aveva dimenticato quello della maggior parte delle tipe che gli avevano ciucciato l’uccello- fece un sussulto, ridendo a metà della fiacca battuta, e intensificò il ritmo sussultorio della testa e dardeggiante della lingua.
Leonardo pensava ad altro, per godersi un orgasmo squassante il piú tardi possibile. Sapeva che la tipa poteva durare ancora un bel po’, prima di stufarsi o stancarsi.
Lavoro. Cercò di pensare agli interminabili colloqui con gli  acquirenti, durante i quali questi si illudevano di poter contrattare invece di essere portati come bambini bendati verso gli acquisti e le condizioni che Leonardo aveva  scelto prima ancora di entrare in sala riunioni. Serviva troppo tempo per i suoi gusti, per convincere “davvero” i clienti che “loro” avevano scelto, che “loro” avevano vinto, che “loro” avevano fatto un buon affare alle spalle di quel ragazzino troppo giovane per poter essere il miglior venditore di una ditta così grande e famosa, e che certamente sarebbe stato cazziato a dovere non appena avesse presentato all’ufficio contabilità le bozze di contratto. Il ‘ragazzino’ una volta, oltre a fottere un cliente in maniera metaforica facendolo firmare per una commessa di cui non aveva bisogno, gli aveva fottuto fuor di metafora anche la moglie e collega, sotto gli occhi, mentre questo si spugnettava guardandoli.
OK, nemmeno lavoro. L’infanzia e l’adolescenza. Da solo.
I suoi problemi di relazione con i coetanei. I genitori assenti, troppo impegnati in una botteguccia familiare durante il giorno, e troppo stanchi la sera, per un “come stai?”, per un dialogo degno di tal nome. Le umiliazioni, gli sfottò e le risse coi compagni di scuola prima e l’isolamento poi. Le lacrime al buio, finchè finalmente Quello Nel Buio non era  divenuto l’unico compagno e interlocutore.
Cominciò a pompare col bacino, chiavando la faccia della troietta. L’aura di lei divenne di un lusinghiero rosso e arancio e scintille e sbuffi di nero, e si avviticchiò alla sua come accadeva prima di un orgasmo. Leonardo attese che le scintille si intensificassero e diventassero lampi sempre piú frequenti prima di venirle in gola mentre lei godeva per conto suo. Sapeva che lei avrebbe continuato, calda e ansimante, a pompare e ingoiare, finchè lampi e scintille e aura non fossero tornati normali, e così fece. Con un ultimo colpo di lingua al frenulo del pene semieretto, alzò lo sguardo verso di lui e chiese “Ti è piaciuto?”, come se non fosse stato ovvio.
“No, ho finto l’orgasmo” scherzò Leonardo “Giuda, se sei brava!”, aggiunse. Era vero. “Vieni a casa mia, dopo, vero?” Le chiese fissandola negli occhi mentre la alzava tenendola delicatamente sotto il mento. Lei si limitò ad annuire. Era un dato di fatto che sarebbe venuta a farsi scopare nella aua tana, non c’era da dubitarne nemmeno lontanamente.
Uscirono dal gabinetto a qualche secondo di distanza, e attraversarono il locale per raggiungere gli altri due comodamente spaparanzati sui divanetti.
“Come cavolo fai, ogni volta?” gli chiese Paolo, sottovoce,  la mano sinistra affondata nella generosa scollatura della sua ragazzetta.
“Fascino.” si vantò Leonardo “e la tua sfiducia sarà adesso punita adeguatamente” si voltò verso le ragazze, gioioso e affabile “Bimbe, che bevete? stasera offre Paolo, senza limiti, tanto lui i soldi ce li ha”.
Era vero fino ad un certo punto. Paolo era, si, il figlio del padrone dell’azienda, ma era solo il suo diretto superiore alle vendite, due o tre gradini a sua volta sotto il padre.  Questi, all’antica, aveva voluto fargli fare qualche anno di gavetta prima di lasciargli l’azienda.
Leonardo lo frequentava non a caso. Sapeva che presto Paolo sarebbe stato a capo dell’azienda, e avrebbe riservato al suo “amico” un ruolo molto importante accanto a lui. Gliel’aveva predetto il Padrone all’indomani della domanda di assunzione. Faceva tutto parte del Progetto. A cosa servisse un’azienda di forniture mediche Leonardo non lo sapeva, e non gli importava.